SAN TOMMASO D’AQUINO SUMMA THEOLOGICA – CAUSA DI PECCATO

SAN TOMMASO D’AQUINO SUMMA THEOLOGICA – CAUSA DI PECCATO

Peccato

Questione 77

Le passioni dell’appetito sensitivo come causa di peccato

Passiamo così a trattare dell’appetito sensitivo come causa del peccato; vediamo, cioè, se una passione possa essere causa di peccato.
In proposito tratteremo otto argomenti: 1. Se una passione dell’appetito sensitivo possa muovere, o inclinare la volontà; 2. Se possa prevalere sulla ragione e sulla sua scienza; 3. Se il peccato di passione sia un peccato di fragilità; 4. Se la passione dell’amor proprio sia causa di tutti i peccati; 5. Le tre cause enumerate da S. Giovanni: “concupiscenza degli occhi, concupiscenza della carne, e superbia della vita”; 6. Se la passione che causa un peccato ne diminuisca la gravità; 7. Se lo scusi totalmente; 8. Se un peccato di passione possa essere mortale.

ARTICOLO 1

Se la volontà possa essere mossa dall’appetito sensitivo

SEMBRA che la volontà non possa esser mossa da una passione dell’appetito sensitivo. Infatti:
1. Una potenza passiva è mossa soltanto dal proprio oggetto. Ora, la volontà è una potenza simultaneamente attiva e passiva, come il Filosofo insegna parlando in generale delle potenze appetitive. E poiché oggetto della volontà non sono le passioni dell’appetito sensitivo, ma il bene di ordine razionale; è chiaro che codeste passioni non possono muovere la volontà.
2. Un principio motore più alto non può esser mosso da un principio inferiore: l’anima, p. es., non è mossa dal corpo. Ma la volontà, appetito razionale, sta all’appetito sensitivo come un principio motore più alto a quello più basso: infatti il Filosofo scrive, che “l’appetito della ragione muove l’appetito sensitivo, come nei corpi celesti una sfera muove l’altra”. Dunque la volontà non può esser mossa dalla passione dell’appetito sensitivo.
3. Nessuna realtà immateriale può subire la mozione di un essere materiale. Ora, la volontà è una potenza immateriale; poiché, essendo nella ragione, come Aristotele insegna, non si serve di un organo corporeo. Invece l’appetito sensitivo è una facoltà materiale, essendo legata a un organo. Perciò una passione dell’appettio sensitivo non può muovere l’appetito intellettivo.

IN CONTRARIO: Si legge in Daniele: “La concupiscenza ha sconvolto il tuo cuore”.

RISPONDO: Le passioni dell’appetito non possono trascinare o muovere la volontà direttamente, lo possono però indirettamente. E ciò in due maniere. Primo, provocando una distrazione. Infatti trovandosi, le potenze, radicate nell’unica essenza dell’anima, è necessario che la concentrazione di una di esse verso il proprio atto, riduca d’intensità l’attività delle altre, o la impedisca totalmente. E questo, sia perché l’estendersi di una virtù è sempre a scapito della sua intensità: mentre l’intensità di essa in un punto solo ne riduce l’estensione; sia perché nell’attività psicologica si richiede l’attenzione, la quale, se si applica a una cosa, non può applicarsi con rigore ad un’altra. Ecco perché, quando un moto dell’appetito sensitivo s’intensifica secondo una data passione, determina necessariamente mediante una distrazione il rilassamento, o la sospensione completa del moto proprio dell’appetito razionale, cioè della volontà.
Secondo, influendo sull’oggetto della volontà, che è il bene appreso dalla ragione. Infatti, come è evidente nei casi di follia, il giudizio e la conoscenza di ordine razionale sono ostacolati dall’apprensione violenta e disordinata dell’immaginativa, e dal giudizio dell’estimativa. Ora, è chiaro che la passione dell’appetito sensitivo segue codesta conoscenza e codesto giudizio; come il parere sui gusti segue le disposizioni della lingua. Difatti vediamo che gli uomini, sotto l’influsso di una data passione, non distolgono facilmente l’immaginazione dalle cose che li hanno colpiti. Ecco perché spesso il giudizio della ragione, e di conseguenza il moto della volontà che ne deriva, segue la passione dell’appetito sensitivo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo spiegato, la passione dell’appetito sensitivo provoca un mutamento del giudizio relativo all’oggetto della volontà; sebbene la passione dell’appetito sensitivo non sia direttamente oggetto della volontà.
2. Un principio superiore non può subire direttamente la mozione di un principio inferiore: ma può subirla indirettamente, come abbiamo visto.
3. Lo stesso vale per la terza difficoltà.

ARTICOLO 2

Se la ragione nella sua scienza possa esser vinta dalle passioni

SEMBRA che la ragione nella sua scienza non possa esser vinta dalle passioni. Infatti:
1. Il più forte non può essere vinto dal più debole. Ora, la scienza per la sua certezza è in noi la cosa più forte. Dunque non può esser vinta dalla passione, che è “debole e transitoria”.
2. La volontà ha per oggetto il bene vero, o apparente. Ma quando la passione spinge la volontà verso un bene vero, non lo piega contro il suo sapere. E quando la spinge verso un bene solo apparente, la spinge verso ciò che appare alla ragione: ma anche questo apparire rientra nella scienza di essa. Perciò la passione non inclina mai la ragione contro il sapere di essa.
3. Se uno obiettasse che spinge la ragione a giudicare in particolare il contrario di quanto conosce in universale, si risponde: Se c’è opposizione tra una proposizione universale e una proposizione particolare, si tratta di una contraddizione, come tra le espressioni tutti gli uomini e non tutti. Ora, come Aristotele dimostra, due opinioni contradditorie sono contrarie. Perciò se uno che ha la scienza universale di una cosa giudicasse il contrario in particolare, dovrebbe avere simultaneamente opinioni contrarie: il che è impossibile.
4. Chi ha una nozione universale conosce pure il particolare che è contenuto in essa; per dirla con Aristotele, chi sa che la mula è sterile, sa pure che questo animale qui è sterile, purché sappia che è una mula. Ora, lo stesso avviene in campo morale: chi sa, p. es., che nessuna fornicazione è da farsi, sa pure che questo fatto singolare rientra nella nozione universale, conosce cioè che questo atto è una fornicazione. Dunque ha una conoscenza anche in particolare.
5. Come insegna il Filosofo, “le parole sono segni del pensiero”. Ma l’uomo sotto l’impeto della passione spesso confessa che quanto attira la sua elezione è cattivo anche in particolare. Quindi egli ne ha una conoscenza anche in particolare. Perciò è evidente che le passioni non possono trascinare la ragione contro le sue nozioni universali: poiché non è compatibile codesta scienza con un giudizio contrario nei casi particolari.

IN CONTRARIO: Scrive l’Apostolo: “Vedo un’altra legge nelle mie memorie che fa guerra alla legge della mia mente, e mi rende schiavo nella legge del peccato”. Ora, la legge esistente nelle membra è la concupiscenza, della quale abbiamo già parlato. Ma essendo la concupiscenza una passione, è chiaro che la passione trascina la ragione anche contro il suo sapere.

RISPONDO: Come riferisce Aristotele, era opinione di Socrate che la scienza non può mai essere vinta dalla passione. E quindi affermava che tutte le virtù sono scienza, e che tutti i peccati non sono che ignoranza. E in questo c’era del vero. Poiché la volontà, avendo per oggetto il bene, vero o apparente, mai può volgersi al male, senza che esso si presenti alla ragione sotto l’aspetto di bene: e quindi la volontà non tenderebbe mai al male, senza un’ignoranza, o un errore della ragione. Difatti sta scritto nei Proverbi: “Errano quelli che operano il male”. – È però evidente che molti agiscono contro la loro scienza; e anche questo trova conferma nella Scrittura: “Il servo che ha conosciuto la volontà del padrone e non l’ha fatta, sarà aspramente battuto”; e altrove: “Chi dunque sa come fare il bene e non lo fa, commette peccato”. Perciò Socrate propriamente non era nel giusto, ma è necessario distinguere, come fa il Filosofo nell’Etica.
Infatti per agire rettamente l’uomo deve essere diretto da due tipi di conoscenza, universale e particolare; e quindi basta la mancanza di una di esse, per impedire la rettitudine di un atto volontario, come sopra abbiamo spiegato. Perciò può capitare che uno abbia la nozione universale che non si può ammettere nessuna fornicazione; e tuttavia non riconosca in particolare che questo atto di fornicazione non è da compiersi. E questo basta a far sì che la volontà non segua la conoscenza universale della ragione. – Inoltre si deve notare che può esserci la conoscenza abituale di una cosa, senza la sua considerazione attuale. E quindi può capitare che uno abbia la giusta conoscenza non solo universale, ma anche particolare di una cosa, e tuttavia non ci pensi attualmente. E allora non è difficile capire come l’uomo agisca prescindendo da quanto attualmente non considera.
Ora, codesta inconsiderazione di quanto uno conosce abitualmente qualche volta è dovuta alla mancanza di attenzione: è il caso p. es., del geometra il quale non pensa alle conclusioni della geometria, che subito potrebbe considerare. – Altre volte codesta inconsiderazione dipende dal sopravvenire di un ostacolo: mettiamo da un’occupazione esterna, o da un’infermità del corpo. Ed è proprio così che l’uomo soggetto alla passione è impedito dal considerare in particolare ciò che universalmente conosce: la passione ostacola la sua considerazione attuale.
E ciò può avvenire in tre modi. Primo, mediante una distrazione, come sopra abbiamo spiegato. Secondo, per un motivo di contrarietà: spesso, infatti, la passione spinge in direzione opposta a quella delle nostre nozioni universali. Terzo, mediante un’alterazione fisiologica, che in qualche modo lega la ragione, ostacolandone l’esercizio, analogamente a quanto avviene nel sonno e nell’ubriachezza. Se ne ha la riprova nel fatto che talora, quando le passioni sono molto intense, l’uomo perde totalmente l’uso della ragione: infatti molti sono diventati pazzi per eccesso di amore o d’ira. Perciò anche in questo modo la passione spinge la ragione a giudicare nei casi particolari contro le sue nozioni universali.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nell’operare non ha un’importanza primaria la scienza degli universali, la quale è certissima, bensì la conoscenza dei singolari: poiché le operazioni hanno per oggetto i singolari. Perciò non c’è da meravigliarsi che in questo campo la passione agisca contro la scienza universale, in assenza di una considerazione particolare.
2. Il fatto stesso che una cosa non buona appaia alla ragione in particolare come un bene, dipende anch’esso da una passione. Tuttavia codesto particolare giudizio è contrario alla scienza universale della ragione.
3. Non può avvenire che uno abbia attualmente la scienza o l’opinione vera di un principio universale affermativo, e un’opinione falsa di un particolare negativo, o viceversa. Però può darsi che uno abbia la vera scienza abituale di un principio universale affermativo, e l’opinione falsa attuale di un particolare negativo: poiché l’atto direttamente non si oppone all’abito, ma a un altro atto.
4. La passione impedisce a chi è in possesso di una nozione universale di desumere da essa, e di giungere alla logica conclusione; ma pone la minore sotto un’altra proposizione universale, suggerita dalla passione, e conclude da questa. Perciò il Filosofo afferma che il sillogismo di chi pecca d’incontinenza ha quattro proposizioni, di cui due universali: una dettata dalla ragione, p. es., non si può commettere nessuna fornicazione; e l’altra dalla passione, p. es., bisogna assecondare il piacere. La passione, dunque, impedisce alla ragione di arguire e di concludere dalla prima; ma sotto il suo influsso si arguisce e si desume dalla seconda.
5. Come gli ubriachi esprimono talora delle sentenze profonde, che però sono incapaci di giudicare con la loro mente sconvolta dall’ubriachezza, così chi è sotto il dominio di una passione, sebbene a parole condanni una data cosa, tuttavia internamente nel suo cuore la giudica degna di essere compiuta.

ARTICOLO 3

Se il peccato di passione debba dirsi d’infermità, o di fragilità

SEMBRA che il peccato di passione non debba dirsi d’infermità. Infatti:
1. La passione, come si è detto, è un moto intenso dell’appetito sensitivo. Ora, l’intensità di un moto dice più fortezza che infermità, o fragilità. Dunque il peccato di passione non deve denominarsi peccato di fragilità.
2. L’infermità dell’uomo si constata in base a quello che vi è di più debole in lui. Ed essendo tale appunto la carne, secondo il detto della Scrittura: “Si ricordò ch’eran carne”; si deve denominare peccato d’infermità più quello derivante da un difetto del corpo, che quello dovuto a una passione dell’anima.
3. Non si vede come un uomo possa essere infermo, o fragile a proposito di cose dipendenti dalla sua volontà. Ora, come dice la Scrittura, dipende dalla volontà dell’uomo fare o non fare le cose alle quali trascinano le passioni: “L’appetito tuo ti sarà sottoposto, e tu potrai dominarlo”. Perciò il peccato di passione non è di fragilità.

IN CONTRARIO: Cicerone chiama “malattie” le passioni dell’anima. Ora, le malattie con altro nome si dicono infermità. Dunque il peccato di passione deve dirsi d’infermità (o fragilità).

RISPONDO: La causa propria del peccato va riscontrata nell’anima, nella quale esso principalmente risiede. Ebbene si può parlare d’infermità dell’anima per analogia con le infermità del corpo. Ora, si dice che il corpo umàno è infermo, quando è reso fiacco o incapace rispetto all’esercizio delle proprie attività da una indisposizione delle sue parti, cosicché gli umori e le membra non sottostanno alla virtù motrice e direttiva del corpo. Si dice infatti che un membro è infermo, quando è incapace di compiere l’operazione di un membro sano: è infermo l’occhio, direbbe il Filosofo, quando non può vedere con chiarezza. Perciò si parla di infermità dell’anima, quando essa viene ostacolata nella propria operazione dall’indisposizione delle sue parti.
Ora, come le parti del corpo si dicono indisposte quando non seguono l’ordine di natura; così si dicono mal disposte le parti dell’anima quando non sottostanno all’ordine della ragione: essendo quest’ultima la virtù direttiva delle parti dell’anima. Perciò quando la facoltà del concupiscibile e dell’irascibile sono dominate dalle passioni contro l’ordine della ragione, ostacolando la debita attività dell’uomo nel modo sopraindicato, si parla di peccato d’infermità. Difatti anche il Filosofo paragona l’incontinente al paralitico, le cui membra si muovono in senso diverso da quello che egli dispone.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come l’intensità maggiore di un moto innaturale aggrava l’infermità nel corpo; così la maggiore intensità dei moti passionali aumenta proporzionalmente l’infermità dell’anima.
2. Il peccato è principalmente un atto della volontà, la quale non trova ostacolo nell’infermità del corpo: infatti un infermo può avere la volontà pronta a compiere determinate cose. Trova ostacolo invece nella passione, come abbiamo visto sopra. Perciò quando si parla di peccato di fragilità, o d’infermità, si deve pensare più all’infermità dell’anima che a quella del corpo. – Tuttavia la stessa infermità dell’anima si può denominare infermità della carne, in quanto le passioni dell’anima insorgono in noi per la condizione della nostra carne, e cioè dall’essere l’appetito sensitivo una facoltà organica.
3. È in potere della volontà consentire, o dissentire da quello che attira la passione: e in tal senso si dice che il nostro appetito ci è sottoposto. Tuttavia anche il consenso, o il dissenso della volontà è impedito, come abbiamo visto, dalla passione.

ARTICOLO 4

Se l’amor proprio sia il principio di ogni peccato

SEMBRA che l’amor proprio non sia il principio di ogni peccato. Infatti:
1. Non può essere causa propria di peccato ciò che di per sé è cosa buona e doverosa. Ora, l’amore di se stessi di suo è una cosa buona e doverosa: infatti all’uomo viene comandato di amare il prossimo come se stesso. Dunque l’amor proprio non può esser causa di peccato.
2. L’Apostolo insegna: “Il peccato, prese le mosse da quel comandamento, produsse in me tutte le concupiscenze”; e la Glossa spiega, che “è buona la legge, la quale col proibire la concupiscenza, proibisce ogni male”; questo perché la concupiscenza è causa di tutti i peccati. Ma la concupiscenza, come sopra abbiamo visto, è una passione diversa dall’amore. Dunque causa di tutti i peccati non è l’amor proprio.
3. S. Agostino spiegando l’espressione del Salmo: “bruciata col fuoco e divelta”, afferma che “ogni peccato deriva da un amore che malamente infiamma, o da un timore che malamente umilia”. Quindi non il solo amor proprio è causa di peccato.
4. L’uomo, come pecca qualche volta per l’amore disordinato di sé, così altre volte pecca per l’amore disordinato del prossimo. Perciò l’amor proprio non è la causa di tutti i peccati.

IN CONTRARIO: S. Agostino insegna che “l’amor proprio di sé fino al disprezzo di Dio costituisce la città di Babilonia”. Ma l’uomo appartiene alla città di Babilonia con qualsiasi peccato. Dunque l’amor proprio è la causa di ogni peccato.

RISPONDO: Abbiamo già precisato che la causa propria e diretta del peccato va ricercata dal lato della conversione al bene transitorio cioè dall’affetto disordinato per un bene temporale. Ora, codesto affetto disordinato per un bene temporale deriva dal fatto che uno ama disordinatamente se stesso: infatti amare qualcuno significa volere a lui del bene. È perciò evidente che l’amore disordinato di sé è causa di tutti i peccati.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’amore ordinato di sé, che consiste nel volere a se stessi il bene conveniente, è doveroso e naturale. Ma bisogna ammettere con S. Agostino che l’amor proprio disordinato, il quale porta fino al disprezzo di Dio, è causa del peccato.
2. La concupiscenza, con la quale uno desidera a se stesso del bene, ha come causa l’amor proprio, secondo le spiegazioni date.
3. Nell’amare uno ha per oggetto e il bene che brama a se stesso, e se medesimo al quale lo brama. Ora, l’amore in quanto si riferisce all’oggetto bramato, p. es. al vino o al danaro, può anche essere causato dal timore, avente per oggetto la fuga del male. Infatti ogni peccato deriva, o dal desiderio disordinato di un bene, o dalla fuga disordinata di un male. Ma le due cose si riallacciano entrambe all’amor proprio. Infatti un uomo desidera il bene e fugge il male, perché ama se stesso.
4. L’amico è come “un altro io”. Perciò chi pecca per amore di un amico, praticamente pecca per amore di se stesso.

ARTICOLO 5

Se sia giusto enumerare tra le cause dei peccati “la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, e la superbia della vita”

SEMBRA che non sia giusto enumerare come cause dei peccati “la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita”. Infatti:
1. A detta dell’Apostolo, “radice di tutti i mali è la cupidigia”. Ora, la superbia della vita non rientra nella cupidigia. Dunque essa non doveva essere enumerata tra le cause dei peccati.
2. La concupiscenza della carne trova l’incentivo più forte nel vedere, secondo l’espressione di Daniele: “La bellezza ti ha sedotto”. Perciò la concupiscenza degli occhi non va distinta dalla concupiscenza della carne.
3. La concupiscenza è l’appetito di ciò che piace, come sopra abbiamo spiegato. Ora, il piacere non si limita alla vista, ma interessa anche gli altri sensi. Quindi bisognerebbe mettere anche la concupiscenza dell’udito, e degli altri sensi.
4. Sopra abbiamo detto che l’uomo è indotto a peccare, e dalla disordinata concupiscenza del bene, e dalla disordinata fuga del male. Invece in questa enumerazione si trascura del tutto quanto riguarda la fuga del male: Dunque l’enumerazione è incompleta.

IN CONTRARIO: S. Giovanni ha scritto: “Tutto quello che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita”. E si dice che una cosa è nel mondo per il peccato; poiché nella stessa lettera egli aggiunge, che “tutto il mondo sta sotto al maligno”. Perciò le tre cose indicate sono causa dei peccati.

RISPONDO: Nell’articolo precedente abbiamo visto che l’amor proprio è causa di tutti i peccati. Ora, in codesto amore è incluso l’appetito disordinato di un bene: infatti ciascuno desidera un bene a colui che ama. Perciò è evidente che causa di ogni peccato è l’appetito disordinato di un bene. Ma in due maniere un bene può essere oggetto dell’appetito sensitivo, in cui risiedono le passioni, che sono causa del peccato: primo, in ordine assoluto, come oggetto del concupiscibile; secondo, sotto l’aspetto di bene arduo, cioè come oggetto dell’irascibile, in base alle spiegazioni date in precedenza.
Notammo ancora, però, che ci sono due tipi di concupiscenza. La prima è naturale o fisica, avente per oggetto le cose atte a sostentare la natura del corpo: o per la conservazione dell’individuo, come il cibo, la bevanda e simili; o per la conservazione della specie, come i piaceri venerei. Ebbene, l’appetito disordinato di codeste cose viene chiamato “concupiscenza della carne”. – L’altra concupiscenza è spirituale, e ha per oggetto cose che non danno né sostentamento, né piacere carnale mediante i sensi, ma che sono piacevoli per una percezione dell’immaginativa, o per altre apprensioni del genere: tali sono il danaro, la bellezza delle vesti, e altre cose consimili. Questa concupiscenza spirituale (animalis) è chiamata “concupiscenza degli occhi”: sia che s’intenda come concupiscenza degli occhi, cioè della vista medesima, effettuata mediante gli occhi, per indicare la curiosità, secondo la spiegazione di S. Agostino; sia che si riferisca alla concupiscenza delle cose presentate agli occhi dall’esterno, per indicare la cupidigia, secondo la spiegazione di altri esegeti. Invece l’appetito disordinato del bene arduo si riduce alla “superbia della vita”: infatti la superbia è l’appetito disordinato della propria eccellenza, come vedremo in seguito.
È evidente perciò che a queste tre cose si possono ridurre tutte le passioni che sono causa di peccato. Infatti alle prime due si riducono tutte le passioni del concupiscibile: e alla terza tutte quelle dell’irascibile; il quale non si divide in due, perché tutte le passioni dell’irascibile dipendono in tutto dalle concupiscenze corrispettive.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La cupidigia, in quanto include universalmente l’appetito di ogni bene, abbraccia anche la superbia. In seguito, poi, vedremo come la cupidigia, in quanto vizio speciale che si denomina avarizia, sia radice di tutti i peccati.
2. Concupiscenza degli occhi qui non sta a indicare la concupiscenza di quanto si può vedere con gli occhi, ma la sola concupiscenza di quelle cose nelle quali non si cerca il piacere della carne, che si soddisfa col tatto, bensì solo quello dell’occhio, cioè di una qualsiasi facoltà conoscitiva.
3. Come diceva il Filosofo, la vista è il più eccellente dei sensi, e si estende a un maggior numero di oggetti. Perciò si usa per indicare tutti gli altri sensi, e persino le percezioni interiori, come nota S. Agostino.
4. La fuga del male, come abbiamo già visto, è causata dall’appetito del bene. Ecco perché sono elencate le sole passioni che inclinano al bene, quali cause di quelle che producono la fuga disordinata del male.

ARTICOLO 6

Se la passione diminuisca il peccato

SEMBRA che la passione non diminuisca il peccato. Infatti:
1. Col crescere della causa cresce anche l’effetto: se il calore dissolve, un calore più grande dissolve di più. Ora, la passione è causa del peccato, come abbiamo visto. Dunque più essa è intensa, più il peccato è grande. Perciò la passione non diminuisce, ma aggrava il peccato.
2. La passione cattiva sta al peccato, come la passione buona sta al merito. Ma questa passione aumenta il merito: infatti più grande è la misericordia con la quale uno soccorre il povero, più cresce il suo merito. Perciò anche la passione cattiva è fatta più per aggravare che per diminuire il peccato.
3. Un peccato è tanto più grave, quanto più intensa è la volontà con cui uno lo commette. Ora, la passione che spinge la volontà, la porta con maggiore intensità all’atto del peccato. Dunque la passione aggrava il peccato.

IN CONTRARIO: La passione della concupiscenza è chiamata anche tentazione della carne. Ma quanto più uno è prostrato da una tentazione più forte, tanto pecca meno gravemente, come insegna S. Agostino. Dunque la passione diminuisce il peccato.

RISPONDO: Il peccato consiste essenzialmente in un atto del libero arbitrio, “facoltà del volere e della ragione”. Invece la passione è un moto dell’appetito sensitivo. Ora, l’appetito sensitivo può essere antecedente, o conseguente rispetto al libero arbitrio. È antecedente, quando la passione dell’appetito sensitivo trascina o inclina la ragione e la volontà, come sopra abbiamo spiegato. È conseguente, quando i moti delle facoltà superiori, per la loro intensità, ridondano su quelle inferiori: infatti la volontà non può muoversi intensamente verso un oggetto, senza eccitare una passione nell’appetito sensitivo.
Perciò, se consideriamo la passione in quanto precede l’atto peccaminoso, allora è necessario che diminuisca il peccato. Infatti un atto è peccato nella misura che è volontario ed è in nostro potere. Ora, una cosa è in nostro potere in forza della ragione e della volontà. Quindi più la ragione e la volontà agiscono per se stesse, senza impulsi di passione, più l’atto è volontario, e in nostro potere. E sotto quest’aspetto la passione diminuisce il peccato, riducendone la volontarietà. Invece la passione conseguente non diminuisce il peccato, ma piuttosto lo aggrava: anzi, è un segno della sua gravità, poiché mostra l’intensità del volere nell’atto del peccato. E da questo lato è vero che uno pecca tanto più gravemente, quanto più forte è il piacere e la concupiscenza con cui pecca.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La passione è causa del peccato sotto l’aspetto di conversione (alle creature). Invece la gravità del peccato si considera piuttosto dal lato dell’aversione (da Dio): la quale deriva dalla conversione, ma solo per accidens, cioè senza intenzione da parte di chi pecca. Ora, non accresce il peccato il crescere delle cause per accidens, ma il solo accrescersi delle cause per se.
2. Una passione buona conseguente al giudizio della ragione aumenta il merito. Se invece lo precede, cosicché uno è portato ad agir bene più dalla passione che dal giudizio della ragione, allora essa diminuisce la bontà e il valore dell’atto.
3. Sebbene il moto della volontà suscitato dalla passione sia più intenso, tuttavia appartiene meno propriamente alla volontà, che se fosse stata mossa a peccare dalla sola ragione.

ARTICOLO 7

Se la passione scusi totalmente dal peccato

SEMBRA che la passione scusi totalmente dal peccato. Infatti:
1. Tutto ciò che causa un atto involontario scusa totalmente dal peccato. Ora, la concupiscenza della carne, che è una passione, causa atti involontari, secondo l’espressione di S. Paolo: “La carne ha desideri contrari allo spirito, sicché voi non potete fare quello che vorreste”. Dunque la passione scusa totalmente dal peccato.
2. La passione, come abbiamo detto, causa l’ignoranza dei casi particolari. Ma l’ignoranza del caso particolare scusa totalmente dal peccato, come spiegammo a suo tempo. Quindi la passione scusa totalmente dal peccato.
3. L’infermità dell’anima è più grave di quella del corpo. Ora, l’infermità del corpo scusa totalmente dal peccato, com’è evidente nel caso dei pazzi furiosi. Molto più, dunque, scusa la passione che è un’infermità dell’anima.

IN CONTRARIO: L’Apostolo chiama “peccaminose” le passioni, solo perché causano i peccati. E questo non avverrebbe, se scusassero totalmente dal peccato. Dunque le passioni non scusano totalmente dal peccato.

RISPONDO: Un atto che nel suo genere è cattivo è scusato totalmente dal peccato, per il fatto che viene reso del tutto involontario. Perciò se la passione è tale, da rendere del tutto involontario l’atto che l’accompagna, scusa totalmente dal peccato; altrimenti non lo scusa del tutto.
Sull’argomento si devono considerare due cose. Primo, che un’azione può essere volontaria, o per se stessa: come quando la volontà direttamente la cerca; o nella sua causa: quando la volontà ha di mira la causa e non l’effetto, com’è evidente nel caso di chi volontariamente si ubriaca. Ecco perché gli viene imputato ciò che commette nell’ubriachezza, come se fosse cosa volontaria. Secondo, si deve osservare che una cosa può essere volontaria direttamente o indirettamente: direttamente volontario è ciò che la volontà persegue; lo è indirettamente ciò che la volontà potrebbe impedire, ma non impedisce.
In base a questo dobbiamo distinguere. Poiché talora la passione è così forte da togliere totalmente l’uso della ragione: e ciò è evidente nel caso di coloro che impazziscono per amore o per ira. In questi casi, se la passione da principio fu volontaria, l’atto viene imputato come peccaminoso, perché volontario in causa: come abbiamo detto per l’ubriachezza. Se invece la causa non fu volontaria, ma naturale: perché uno, p. es., è incorso nella passione che gli ha tolto del tutto l’uso della ragione per una malattia o per altre cause del genere; i suoi atti allora sono del tutto involontari, e quindi sono scusati totalmente dal peccato.
Talora invece la passione non è tale da togliere del tutto l’uso della ragione. E allora la ragione può eliminare la passione pensando ad altro; oppure può impedirle di conseguire il suo effetto, poiché le membra vengono applicate all’operazione solo col consenso della ragione, come abbiamo visto nelle questioni precedenti. Perciò codesta passione non scusa totalmente dal peccato.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’espressione “sicché voi non potete fare quello che vorreste” non va riferita agli atti esterni, ma ai moti interiori della concupiscenza: infatti l’uomo (giusto) vorrebbe non provare mai la concupiscenza del male. Lo stesso pensiero è espresso nella lettera ai Romani: “Quel male che odio, io faccio”. Oppure si può riferire alla volontà precedente lo stato passionale: ed è il caso patente dei continenti, i quali per la loro concupiscenza agiscono poi contro il loro proposito.
2. L’ignoranza del caso particolare, che scusa totalmente dalla colpa, è l’ignoranza di circostanze che uno non è in grado di conoscere, pur usando la debita diligenza. Invece la passione causa una ignoranza della legge in casi particolari, con l’impedire l’applicazione delle nozioni universali ad atti particolari. E la ragione, come abbiamo visto, è in grado di reprimerla.
3. L’infermità del corpo è involontaria. Il caso sarebbe analogo, se fosse invece volontaria: come abbiamo detto a proposito dell’ubriachezza, che è un’infermità corporale.

ARTICOLO 8

Se un peccato di passione possa essere mortale

SEMBRA che un peccato di passione non possa essere mortale. Infatti:
1. Il peçcato veniale si contrappone al mortale. Ora, il peccato di fragilità è veniale, o perdonabile, avendo in se stesso un motivo di perdono. Ma il peccato di passione, essendo di fragilità, è chiaro che non può essere mortale.
2. La causa non può essere inferiore all’effetto. Ora, la passione non può essere peccato mortale; poiché nella sensualità, come abbiamo visto, esso non può risiedere. Dunque un peccato di passione non può essere mortale.
3. Abbiamo detto che la passione allontana dalla ragione. Ma spetta alla ragione volgersi a Dio, o scostarsi da lui, commettendo così un peccato mortale. Quindi il peccato di passione non può essere mortale.

IN CONTRARIO: L’Apostolo scrive, che “le passioni peccaminose agiscono nelle nostre membra così da portar frutti alla morte”. Ora, portar frutti alla morte è proprio del peccato mortale. Dunque il peccato di passione può essere mortale.

RISPONDO: Abbiamo già spiegato che il peccato mortale consiste nel volgere le spalle all’ultimo fine, che è Dio: e codesto gesto spetta alla deliberazione della ragione, che ha il compito di ordinare al fine. Perciò può capitare che il volgersi dell’anima verso quanto è contrario all’ultimo fine non sia peccato mortale, solo nel caso che la ragione non possa intervenire a deliberare: e questo avviene nei moti improvvisi. Ora, quando per passione uno passa all’atto peccaminoso, o al consenso deliberato, il fatto non è improvviso. Quindi la ragione può intervenire a deliberare: infatti può reprimere, oppure ostacolare la passione, come abbiamo visto. Perciò, se non interviene, è peccato mortale: e difatti vediamo che per passione si commettono molti omicidi e adulteri.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un peccato può dirsi veniale o perdonabile in tre maniere diverse. Primo, a motivo della causa; e cioè dal fatto che ha una causa di perdono, la quale diminuisce il peccato: e in questo senso si dice veniale il peccato di fragilità e d’ignoranza. Secondo, dal fatto del perdono: e allora tutti i peccati diventano veniali col pentimento, cioè in forza del perdono ricevuto. Terzo, può essere veniale nel suo genere, come, p. es., le parole oziose. Ora, soltanto questo tipo di peccato veniale si contrappone al mortale: invece l’obiezione partiva dal primo.
2. La passione è causa del peccato sotto l’aspetto di conversione. Ma il suo essere mortale, come abbiamo visto, dipende dall’aspetto di aversione da Dio, che indirettamente segue la conversione alle creature. Perciò l’argomento non regge.
3. Non sempre la ragione viene impedita totalmente nei suoi atti dalla passione: perciò le rimane il libero arbitrio per aderire a Dio, o per fuggire da lui. Se invece venisse tolto completamente l’uso della ragione, allora non ci sarebbe più peccato, né mortale, né veniale.


 
 
 

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