La Vita: Dono e diritto Inalienabile

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LA VITA: DONO E DIRITTO INALIENABILE

di Daniele Curci

Non tutti sanno che secoli prima dell’avvento del cristianesimo nel mondo, prima della grande tradizione dottrinale e giurisprudenziale romana sul diritto naturale, l’esistenza di una legge non scritta, fondamento dei diritti naturali dell’uomo, compare nel pensiero di molti filosofi e scrittori della cultura greca. Solo per citarne alcuni:

Eraclito parla di una legge universale fondata sul logos divino

Sofocle per il quale gli agrapta nomina, cioè le leggi non scritte ma presenti nello spirito umano per opera degli Dei, sono l’ultimo baluardo contro la tirannide (Antigone, vv. 454-460)

Epiteto che parla della comune e alta dignità morale e giuridica dell’uomo in quanto creatura di Dio (cfr. Diatribai I, 3, 1)

Cicerone insegnava “Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere e i suoi divieti trattengono dell’errore (…) È un delitto sostituirla con una legge contraria; è proibito non praticarne una sola disposizione; nessuno poi ha la possibilità di abrogarla completamente? (De re publica, 3, 22, 33).

San Giustino, Origene e il maestro di quest’ultimo Clemente Alessandrino nelle loro opere sono concordi nell’affermare che il pensiero di questi grandi fiolosofi fosse ispirato, pur in forma inconsapevole, da quello stesso Logos che è Cristo (il Verbo incarnato).
Clemente Alessandrino nel suo Pedagogo scriverà: “Il Logos è educatore degli uomini e delle donne allo stesso modo”. Il Logos che aveva ispirato ai filosofi le acquisizioni migliori del loro pensiero è, secondo Clemente, quello stesso che si è poi manifestato in Cristo nella forma più perfetta. Per questo i Cristiani possono, come affermava già San Giustino, considerare come proprio tutto ciò che di buono era stato detto dai filosofi.

Fatta questa necessaria premessa appare subito come fin dai tempi dell’antichità precristiana fosse chiaro, che la democrazia può esistere come tale soltanto se la maggioranza rispetta certe premesse basilari dell’ordinamento sociale, tra cui i principi del diritto o etica naturale e i diritti umani inviolabili che in esso hanno il loro fondamento.
Ciò che appare, alla luce dei fatti attuali, ancora più sconvolgente è che il diritto alla vita era considerato una pietra angolare nella civiltà giuridica; il diritto romano ad esempio considerava come un essere o individuo umano il concepito ancora non nato (il nasciturus) e, come tale, era soggetto di diritti, potendo perfino essere destinatario di beni testamentari.
Così nei Digesta di Giustiniano viene riconosciuta al nascituro la condizione giuridica di essere umano:
“Qui in utero sunt intelliguntur in rerum natura esse”, e cioè “I concepiti sono da considerare come già esistenti” D.1.5.26), e, perciò, essi sono da considerarsi titolari di diritti, come se fossero nati (“Nasciturus pro iam nato habetur quotiens de eius commodo agitur ” ovvero “il nascituro si considera come già nato ogni qualvolta si tratti del suo vantaggio” D.1.5.7),

Citando il ben noto studioso del diritto romano Giorgio La Pira, in un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano del 19 marzo 1976 si può affermare che: “Questo principio – che la giurisprudenza romana creativa del tempo augusteo introdusse solo nel sistema dello jus civile, operando davvero un mutamento qualitativo nelle strutture del pensiero sociale e giuridico non solo romano, ma altresì della intera civiltà umana – diviene, col cristianesimo, una delle basi universali costitutive dell’edificio dei diritti inviolabili dell’uomo: il diritto alla vita!”».

Per il Cristianesimo – e in qualche modo anche per le altre religioni monoteistiche – l’essere umano, la persona, non è soltanto l’essere più alto nella scala degli esseri a ragione dell’intelligenza e della libertà di cui gode, ma è anche l’unica creatura che Dio abbia creato per se stessa . Ogni essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio. In ogni essere umano, anche se debole, malato o handicappato, c’è un riflesso divino, una vita che tende all’eternità. Infatti, “la ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio”CCC27 . Perciò ha proclamato Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae: “In Cristo, infatti, è annunciato definitivamente ed è pienamente donato quel Vangelo della vita che, offerto già nella Rivelazione dell’Antico Testamento, ed anzi scritto in qualche modo nel cuore stesso di ogni uomo e donna, risuona in ogni coscienza «dal principio», ossia dalla creazione stessa”.

Oggi carissimi fratelli questo diritto inalienabile viene messo in discussione…
In nome di chi o di cosa l’uomo si arroga il diritto di dare e togliere la vita?
Possibile essere tanto sordi ad una legge, quella scritta nei nostri cuori, che grida così forte parole d’amore?
Possibile che questa legge riconosciuta perfino da grandi scrittori e filosofi pagani sia stata dimenticata?

Lasciatemi conludere con le parole del padre della medicina Ippocrate, con quelle parole ancora oggi recitate da ogni nuovo Dottore in Medicina nel momento in cui termina gli studi universitari. Si tratta di un giuramento datatato V secono a.C.
Un testo che molti medici e politici oggi sembrano aver totalmente dimenticato, eppure le finalità del “Giuramento di Ippocrate” erano proprio quelle di dare al medico una necessaria formazione etica e deontologica…

“E non darò neppure un farmaco mortale a nessuno per quanto richiesto né proporrò un tal consiglio; ed ugualmente neppure darò a una donna un pessario abortivo. Ma pura e pia conserverò la mia vita e la mia arte”
(Giuramento di Ippocrate; 3,4)

Cinquecento anni prima di Cristo la cultura pagana riteneva l’aborto un infamante omicidio ed un crimine contro la vita umana… E oggi nella nostra Italia a maggioranza Cattolica, nella Cristianissima America possiamo dire altrettanto?


 
 
 

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