SAN GIOVANNI CRISOSTOMO – Parte XXII – XLII

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO – Parte XXII – XLII

Parte XXII – XLII

XXII. La morte dei fanciulli al tempo di Eliseo fu utile

1. Ma perché parlare di Miriam? Alcuni fanciulli che giocavano vicino a Betlemme, solo per aver detto ad Eliseo “Sali, calvo”, provocarono a tal punto Dio, che questi fece piombare su di loro degli orsi proprio mentre parlavano; erano quarantadue, e tutti furono dilaniati fino all’ultimo da quelle bestie. Né la giovane età, né il numero, né il fatto che scherzassero valse a proteggere quei bambini: ed era giusto. Se coloro che si sobbarcano a così grandi fatiche dovessero essere dileggiati dai bambini e dagli uomini, quale persona più debole accetterebbe mai di sopportare fatiche che attirano le risa e gli scherni? Quale uomo ordinario cercherà più d’imitare la virtù, vedendo che è così ridicola?

2. Ora la virtù è universalmente ammirata non solo da coloro che la praticano, ma anche da coloro che, in seguito a delle cadute, se ne allontanano; eppure, molti esitano ed indietreggiano di fronte a queste fatiche: chi sarebbe allora più disposto ad abbracciarla subito, se vedesse che non solo non è ammirata, ma è calunniata da tutti gli uomini? Le persone molto forti, che si sono già trasferite in cielo, non hanno bisogno della consolazione della gente ordinaria, perché a consolarle basta la lode di Dio. Chi invece è più debole e solo da poco si fa guidare m tale pratica, riceve un non piccolo aiuto anche dalla spinta prodotta dall’opinione del volgo: solo m seguito, quando sarà completamente educato, potrà mettersi piano piano in condizione di non aver più bisogno di tale aiuto.

3. Questi eventi si verificano non solo per costoro, ma anche per la salvezza degli schernitori, i quali procederebbero oltre nella loro malvagità, se vedessero impuniti i loro misfatti precedenti. Ma mentre parlavo, mi sono tornati in mente certi episodi della storia di Elia. La sorte che gli orsi fecero subire a quei fanciulli a causa di Eliseo, toccò anche, a causa del suo maestro, a cinquantadue uomini ed ai loro capi, quando il fuoco si accese in cielo. Allorché essi, con un fare molto ironico, vennero a chiamare il giusto invitandolo a scendere tra loro, in sua vece scese un fuoco, che li divorò tutti cosi come fecero quelle bestie.

4. Voi tutti, o nemici della verginità, riflettete dunque su questo e mettete sulla vostra bocca una porta ed una sbarra, per non dover dire il giorno del giudizio, vedendo rifulgere in quel luogo le persone vergini: “Questi sono coloro che deridevamo ed a cui lanciavamo oltraggi; e noi stolti ritenevamo pazza la loro vita, ed ignominiosa la loro morte. Come possono essere stati annoverati tra i figli di Dio ed avere la sorte dei santi? Ci siamo dunque allontanati dalla strada della verità, e la luce della giustizia non ha brillato per noi”. Ma a che cosa gioveranno queste parole, se il pentimento non sarà più efficace in quel frangente?

XXIII. Come mai coloro che commettono gli stessi peccati non vengono puniti allo stesso modo

Ma forse qualcuno di voi chiederà: “Nessuno dunque dopo quei tempi insultò i santi?” Molti, ed in molti punti della terra, l’hanno fatto. “Come mai allora non sono stati puniti allo stesso modo?”. Sappiamo che molti di loro lo sono stati. Se poi alcuni sono sfuggiti al castigo, non sfuggiranno ad esso per sempre. Secondo il beato Paolo “i peccati di alcuni sono evidenti e portano al giudizio, mentre per altri si rivelano successivamente”. Come i legislatori mettono per iscritto le pene dei trasgressori, così anche nostro Signore Gesù Cristo, quando punisce uno o due peccatori e scrive per così dire i loro castighi su di una colonna di bronzo, si serve della loro sorte per parlare a tutti; Egli dice che coloro che osano commettere gli stessi peccati di chi è stato punito, anche se per il momento non vengono puniti, in futuro subiranno un castigo più severo.

XXIV. Coloro che peccano e non sono puniti non devono rassicurarsi, ma piuttosto temere

1. Di conseguenza, se non soffriamo alcun male pur avendo peccato oltre misura, non dobbiamo rassicurarci, ma piuttosto temere. Se infatti qui non siamo giudicati da Dio, lì saremo condannati assieme al mondo. Anche in questo caso, le parole non sono mie, ma di Cristo che parla in Paolo. Parlando a coloro che prendono i sacramenti senza esserne degni, egli dice: “Per questo tra voi ce ne sono molti che sono deboli e malati, mentre un buon numero dorme. Se ci giudicassimo, non saremmo giudicati; ora invece, se siamo giudicati, veniamo educati dal Signore per non essere condannati assieme al mondo”. Vi sono alcuni che hanno bisogno soltanto di una condanna su questa terra, quando nei loro peccati non oltrepassano una certa misura e quando, dopo essere stati puniti, non corrono più verso di essi, imitando il cane che si volge verso ciò che ha vomitato; vi sono poi altri che per l’enormità delle loro colpe sono puniti sia qui che lì; altri, infine, saranno puniti solo lì per avere commesso le colpe più gravi, non essendo stati ritenuti degni di essere sferzati assieme agli uomini. “Non saranno sferzati assieme agli uomini” – è detto -, in quanto sono destinati ad essere puniti con i demoni. “Andate via da me – dice il Signore – verso la tenebra eterna, preparata per il diavolo ed i suoi seguaci”.

2. Molti sono riusciti ad ottenere il sacerdozio pagando, senza essere rimproverati da nessuno e senza ascoltare le parole che Simone udì a suo tempo da Pietro. Non per questo però sfuggono al castigo: ne subiranno uno molto peggiore di quello che avrebbero dovuto subire qui, giacché neanche l’esempio è valso a renderli più saggi. Molti hanno osato fare quello che fece Core; non hanno subito la sua sorte, ma soffriranno in seguito una pena più grave. Molti che hanno imitato l’empietà del Faraone non sono annegati come lui, ma sono attesi dall’oceano della Geenna. Neanche coloro che chiamano sciocchi i propri fratelli sono stati puniti, ma il castigo è riservato per loro nell’al di là.

3. Non pensate dunque che le minacce di Dio siano solo parole. Egli ha dato esecuzione ad alcune di esse come nel caso di Saffira, di suo marito, di Carmi, di Aaron e di molti altri, perché chi non crede alle sue parole, convinto dall’evidenza dei fatti, in futuro non s’illuda più di sfuggire alla punizione ed impari che la bontà di Dio consiste non nel non punire affatto chi persevera nei suoi peccati, ma nel concedere una proroga ai peccatori.

4. Si potrebbe parlare anche più a lungo, per dare un’idea di tutto il fuoco che si preparano coloro che disprezzano la bellezza della verginità. Ma queste parole sono sufficienti ai saggi, mentre neanche un discorso più lungo del presente potrebbe allontanare gl’incorreggibili ed i pazzi dalla loro mania. Chiudiamo quindi questa parte, e rivolgiamo il nostro discorso ai saggi, ritornando al beato Paolo. “Riguardo a ciò su cui mi avete scritto – dice – è bene per l’uomo non toccare la donna”. Si vergognino ora entrambe le categorie di persone, sia quelli che denigrano il matrimonio, sia quelli che lo esaltano oltre il dovuto. Ad entrambi il beato Paolo chiude la bocca sia con queste parole che con quelle che seguono.

XXV. Il matrimonio è necessario ai deboli

Il matrimonio è una bella cosa, perché conserva l’uomo nella temperanza e gl’impedisce di rotolare nella fornicazione e di morirvi. Non va quindi calunniato. E’ in effetti di grande utilità, giacché non consente alle membra di Cristo di diventare membra di una prostituta, e vieta che il sacro tempio venga profanato ed insozzato. E’ bello perché sostiene e rimette in piedi chi sta per cadere. Ma di quale utilità può essere per colui che sta già in piedi e che non ha bisogno del suo aiuto? In tal caso, esso non è né utile né necessario, ma è solo d’impedimento alla virtù, non solo perché le frappone molti ostacoli, ma anche perché la priva della maggior parte degli elogi.

XXVI. Chi si sposa pur essendo in grado di restare vergine, reca un gravissimo torto a se stesso

Chi ricopre di armi un uomo che può combattere nudo e vincere, non solo non gli giova, ma gli fa il più grande torto, privandolo dell’ammirazione e delle più grandi corone: impedisce alla sua forza di rivelarsi in modo completo, e fa perdere al suo trofeo molta fama. Nel caso del matrimonio, il danno è ancora più grave: si priva l’uomo non solo della grande considerazione della gente ordinaria, ma anche dei premi riservati alla vergine. Per questo vien detto: “E’ bene per l’uomo non toccare donna”. Perché allora permetti di toccarla? “A causa della fornicazione, ciascuno abbia la propria moglie”. “Esito – dice l’apostolo – a condurti fino all’altezza della verginità, nel timore che tu possa precipitare nel baratro della fornicazione. Le tue ali non sono ancora abbastanza leggere, perché io possa sollevarti fino a quella vetta”. Eppure, essi hanno deciso di cimentarsi e si sono slanciati verso la bellezza della verginità. Perché allora hai paura e tremi, o beato Paolo? “Perché – risponderebbe forse – mostrano tanta voglia in quanto ignorano di che cosa si tratta; io invece, avendo esperienza e conoscendo già questa battaglia, esito a consigliarla agli altri”.

XXVII. La verginità è un gran bene e dispensa grandi beni

1. Conosco le difficoltà di quest’impresa, l’asprezza di questo combattimento, la pesantezza di questa guerra. Bisogna avere un’anima combattiva, violenta, disperatamente decisa nella sua lotta contro i desideri, giacché si deve camminare sui carboni senza bruciarsi e sulle spade senza farsi colpire. La forza del desiderio è infatti pari a quella del fuoco e del ferro; e l’anima, se non impara a non voltarsi verso questi dolori, ben presto perisce. Ci occorrono un pensiero di diamante, un occhio che non si addormenta mai, molta pazienza, delle mura robuste, [dei muri esterni] e delle sbarre, delle guardie vigili e prodi, e prima di ogni altra cosa, l’intervento superiore: “Se il Signore non custodisce la città, invano vegliano i suoi custodi”.

2. Come potremo dunque far giungere a noi quest’aiuto? L’otterremo solo dopo che avremo dato tutto il nostro contributo: mi riferisco ai pensieri sani, alla forte intensità dei digiuni e delle veglie, alla scrupolosa osservanza della legge, al rispetto dei comandamenti, e soprattutto alla sfiducia in noi stessi. Anche se riusciamo a realizzare grandi cose, dobbiamo infatti dire sempre: “Se non è il Signore a costruire la casa, invano hanno lavorato i suoi costruttori. “Noi non lottiamo contro il sangue e la carne, ma contro le dominazioni, contro le potestà, contro i capi delle tenebre di questo mondo, contro gli spiriti maligni che si trovano negli spazi celesti”. Restando armati di giorno e di notte, dobbiamo tener desti i nostri pensieri e mettere paura ai desideri impudenti. Basta che i pensieri si rilassino un po’, che compare il diavolo con in mano il fuoco, che scaglia per incendiare il tempio di Dio. Dobbiamo dunque essere fortificati da ogni parte. La nostra è una battaglia contro le necessità naturali; cerchiamo d’imitare il modo di vita degli angeli e di correre assieme alle potenze incorporee. Noi, terra e cenere, facciamo di tutto per renderci uguali agli esseri che vivono in cielo: la corruzione vuole gareggiare con l’incorruttibilità.

3. Dimmi: qualcuno oserà ancora paragonare il piacere del matrimonio a tale stato? Come non sarebbe oltremodo sciocco? Paolo, sapendo bene tutto questo, disse: “Ognuno abbia la propria moglie”. Per questo si mostrava ritroso, per questo non osava parlare loro subito della verginità, ma si soffermava a discorrere sul matrimonio, nell’intento di distaccarli da esso a poco a poco; le poche parole che diceva sulla continenza le mescolava ai suoi lunghi discorsi sul matrimonio, in modo che l’udito non fosse colpito dalla severità dell’esortazione. Chi infatti intreccia in tutto il suo discorso argomenti troppo severi si rende molesto all’ascoltatore, e costringe spesso alla ribellione l’anima che non sopporta il peso di ciò che vien detto. Chi invece lo varia, e vi mescola più argomenti piacevoli che argomenti spiacevoli, evita di renderlo pesante, e facendo riposare l’ascoltatore riesce meglio a persuaderlo e ad attirarlo, come fece appunto Paolo.

4. Subito dopo aver detto “E’ bene per l’uomo non toccare la donna”, passò al matrimonio con le parole: “Ognuno abbia la propria moglie”. Benedisse la verginità e la mise da parte limitandosi a dire: “E’ bene per l’uomo non toccare la donna”. Per quanto riguarda invece il matrimonio, dà dei consigli e degli ordini e ne spiega il motivo: “A causa della fornicazione”; sembra così voler giustificare il permesso che dà di sposarsi. In verità egli, parlando del matrimonio, fa nascostamente l’elogio della continenza: non lo svela apertamente, ma lo lascia alla coscienza degli ascoltatori. Chi infatti si rende conto che Paolo l’esorta al matrimonio non perché lo consideri il sommo della virtù ma perché gli rimprovera una sensualità troppo forte, che non può essere scacciata senza di esso, pieno di rossore e di vergogna cerca di abbracciare subito la verginità e di allontanare da sé tale reputazione.

XXVIII. Ciò che viene detto sul matrimonio è un’esortazione alla verginità

1. Perché Paolo dice quindi “Il marito dia alla moglie l’affetto dovuto, e similmente si comporti la moglie con il marito”? Per spiegare queste parole e renderle più chiare, aggiunge: “La moglie non è padrona del proprio corpo, ma solo il marito lo è; similmente, il marito non è padrone del proprio corpo, ma solo la moglie lo è”. Queste parole sembrano dette in favore del matrimonio. In realtà però Paolo riveste un amo con l’esca consueta, e lo getta nelle orecchie dei suoi discepoli nell’intento di distoglierli dal matrimonio parlando di esso. Chi infatti sente che dopo il matrimonio non sarà più padrone di sé ma dipenderà dalla volontà della moglie, cerca di liberarsi subito da questa schiavitù così amara, o piuttosto non vuole neanche cominciare a sottomettersi a questo giogo, perché una volta che vi si è sottomesso deve restare schiavo finché lo vuole la moglie.

. Che io non faccio delle semplici congetture sul pensiero di Paolo lo si può capire facilmente, se si pensa ai discepoli del Signore: costoro non ritennero il matrimonio una cosa pesante e molesta finché non si avvidero che il Signore voleva rinserrarli nello stesso obbligo in cui Paolo avrebbe poi rinchiuso i Corinzi. Le frasi “Chi ripudia la propria moglie quando non ricorre il motivo della fornicazione la spinge all’adulterio” e “il marito non è padrone del proprio corpo” esprimono lo stesso pensiero, anche se con parole diverse.

. Se si esaminano più attentamente le parole di Paolo, si vede che esse accrescono la tirannide del matrimonio e ne rendono più pesante la schiavitù. Se infatti il Signore non consente al marito di scacciare la propria moglie dalla sua casa, Paolo lo priva perfino della facoltà di disporre del proprio corpo, dando tutto il potere alla moglie e mettendolo al di sotto di un servo comprato. Quest’ultimo può spesso ottenere la completa libertà se, divenuto ricco, riesce a pagare il prezzo al padrone. Il marito invece, anche se ha la moglie più terribile, si vede costretto a fare buon viso alla sua schiavitù, non potendo trovare il modo di liberarsi da tale dominio o di sfuggirne.

XXIX. Le parole “Non negatevi l’uno all’altro” sono un’esortazione alla verginità

1. Paolo, dopo aver detto “La moglie non è padrona del proprio corpo”, aggiunge: “Non negatevi l’uno all’altro se non quando siete d’accordo, nel momento più opportuno, in modo che possiate attendere alla preghiera ed al digiuno; dopo di che, ritornate a stare insieme”. Penso ora che molti di coloro che hanno abbracciato la verginità arrossiscano e si vergognino della grande indulgenza di Paolo. Ma non abbiate timore, e non siate sciocchi. Queste parole sembrano essere state dette da chi vuole compiacere gli sposati, ma chi le esamina attentamente si accorge che sono animate dallo stesso pensiero delle frasi precedenti. Se infatti le si ascoltassero staccandole dalla questione che precede, sembrerebbero degne più di una pronuba che di un apostolo, ma una volta spiegato il significato di tutto il contesto, si vedrebbe che anche quest’esortazione è conforme alla dignità dell’apostolo.

Perché Paolo si dilunga su questo discorso? Una volta indicato il suo pensiero in modo più dignitoso con le parole precedenti, non avrebbe potuto contentarsi di limitare ad esse la sua esortazione? Che cosa dice in più la frase “Non negatevi l’uno all’altro se non quando siete d’accordo, nel momento più opportuno” delle altre “Il marito dia alla moglie l’affetto dovuto” e “il marito non è padrone del proprio corpo”? Certo, non dice nulla di più; ma qui l’apostolo, usando più parole, ha reso più chiaro ciò che prima aveva detto più brevemente ed in modo più oscuro.

2. Agendo così, egli ha voluto imitare Samuele, il santo di Dio. Come questi spiegò al popolo con la maggiore esattezza possibile le leggi di chi regna non perché accettasse un re ma perché lo rifiutasse (il suo discorso sembrava un insegnamento, ma in realtà mirava a distogliere il popolo da un desiderio inopportuno), così anche Paolo dibatte con maggiore continuità e chiarezza la questione della tirannia del matrimonio nell’intento di distogliere da esso gli ascoltatori con le sue parole. Dopo aver detto “la moglie non è padrona del proprio corpo”, aggiunge “Non negatevi l’uno all’altro se non quando siete d’accordo, in modo che possiate attendere al digiuno ed alle preghiere”. Vedi come conduce alla pratica della continenza le persone sposate, senza destare sospetti e senza rendersi molesto? All’inizio si limitò a lodare la continenza, dicendo: “E’ bene per l’uomo non toccare la donna”. Ora, invece, aggiunge un’esortazione: “Non negatevi l’uno all’altro, se non quando siete d’accordo”. Tale discorso è più gentile, e rivela il pensiero del maestro, che non accampa pretese con veemenza, soprattutto quando il mettere in pratica i suoi consigli richiede una grande bontà. Egli non cerca di consolare l’ascoltatore soltanto così: trattato con poche parole l’aspetto più austero, prima ancora che l’ascoltatore si addolori, passa all’aspetto più piacevole e vi si sofferma più a lungo.

XXX. Come mai Paolo, pur ritenendo il matrimonio una cosa pregevole, raccomanda a chi digiuna di astenersi dai rapporti coniugali

1. Vale la pena di esaminare come mai, “se il matrimonio è una cosa pregevole e se il letto coniugale è esente da contaminazione”, Paolo non consente il rapporto coniugale nel periodo del digiuno e della preghiera. Sarebbe del tutto assurdo che mentre gli Ebrei – nei quali tutti i bisogni corporei sono profondamente impressi, e che hanno il permesso di avere due mogli, di ripudiarle e di sposarne altre al loro posto – si preoccupano della continenza fino al punto di astenersi dal rapporto legittimo non per un giorno o due soltanto ma per più giorni quando devono ascoltare la parola di Dio, noi invece – che godiamo di una grazia così grande, che abbiamo ricevuto lo spirito, che siamo morti e siamo stati sepolti assieme a Cristo, che siamo stati ritenuti degni di essere figli adottivi di Dio, che siamo stati elevati ad una dignità così grande e che abbiamo goduto di tanti e così grandi beni – non dobbiamo avere neppure la stessa preoccupazione di quei piccoli.

2. Se qualcuno poi insistesse a ricercare il motivo per cui Mosè proibì agli Ebrei questi rapporti, direi che, anche se il matrimonio è una cosa pregevole, può soltanto giungere a non contaminare chi ne fa uso; mettere in mostra i santi, rientra però non nelle sue possibilità, ma in quelle della verginità. Mosè e Paolo non sono stati i soli a dare tali precetti: ascolta le parole di Ioel: “Santificate il digiuno, annunziate la guarigione, radunate l’assemblea, fate venire gli anziani”. Ma cerchi forse il passo in cui ha ordinato di tenersi lontani dalle mogli? “Lo sposo esca dal suo letto e la sposa esca dalla sua camera nuziale”. Quest’ordine va al di là di quello di Mosè. Se lo sposo e la sposa, in cui il desiderio è al culmine, in cui la giovinezza è piena di vigore, in cui il desiderio è indomabile, non devono avere rapporti nel periodo del digiuno e della preghiera, non devono comportarsi così a maggior ragione gli altri, che non sono sottoposti ad una costrizione così grave? Chi vuol pregare e digiunare nel modo giusto deve eliminare ogni desiderio terreno, ogni pensiero ed ogni motivo di dispersione, e presentarsi a Dio dopo essersi ben raccolto in sé sotto ogni rispetto. Il digiuno è bello perché recide le preoccupazioni dell’anima, perché allontana la pigrizia che circonda la mente, perché fa sì che il pensiero si raccolga tutto in se stesso. Alludendo a tutto questo, Paolo vieta il rapporto e fa uso di parole ben appropriate. Non dice infatti “Perché non veniate contaminati”, ma “perché possiate attendere al digiuno ed alla preghiera”, come se il rapporto con la propria moglie fosse causa non d’impurità, ma di una perdita di tempo.

XXXI. Paolo era obbligato a vietare i rapporti a coloro che intendevano attendere alla preghiera

Se anche ora, nonostante la grande sicurezza di cui godiamo, il diavolo cerca di ostacolarci nel momento della preghiera, ammesso che trovi un’arsura dissoluta e rammollita dalla passione per una donna, che cosa non è capace di fare, quando svia in un senso o nell’altro gli occhi del pensiero? Per non metterci in condizione di subire questa sorte e di offendere Dio con una preghiera così inutile proprio quando cerchiamo di rendercelo propizio, egli ci ordina di astenerci dai rapporti.

XXXII. Quando preghiamo con negligenza non solo non ci propiziamo Dio, ma l’irritiamo

1. Se coloro che avvicinano i re – ma perché parlare dei re? basta pensare ai più bassi magistrati; se gli schiavi che avvicinano i padroni o perché hanno subito un torto da altri, o perché hanno bisogno di un favore, o perché cercano di mitigare l’ira che si è levata contro di loro, incontrano questi potenti solo dopo avere concentrato su di loro tutti i loro sguardi ed i loro pensieri, ed alla minima negligenza non solo non ottengono ciò di cui hanno bisogno, ma ricevono in aggiunta una punizione e vengono cacciati via; se coloro che cercano di fermare l’ira degli uomini stanno così attenti, quali pene non dobbiamo soffrire noi miseri, quando ci accostiamo con tanta negligenza a Dio, il padrone universale, e ci rendiamo meritevoli di una collera tanto più grande? Né il servo né il suddito irritano tanto il padrone o il re quanto noi irritiamo Dio ogni giorno.

2. Alludendo a questo, Cristo chiama “cento denari” i peccati verso il prossimo e “diecimila talenti” i peccati verso Dio. Poiché dunque ci accostiamo alla preghiera per spegnere la sua ira e per riconciliarci con colui che combattiamo ogni giorno, a ragione l’apostolo cerca di tenerci lontani dal piacere, come se dicesse: “O miei diletti, è dell’anima che si parla; corriamo i più gravi pericoli: dobbiamo tremare, avere paura e mostrarci contriti; ci accostiamo ad un padrone terribile, che abbiamo molto offeso e che ha da muoverci gravi accuse per gravi mancanze. Non è il momento delle carezze e dei piaceri, ma delle lacrime, degli amari lamenti, delle prostrazioni, delle confessioni scrupolose, delle suppliche ferventi, delle preghiere assidue. Sarà già una buona cosa se potremo mitigare la sua ira accostandoci a lui con tanto riguardo, non perché nostro Signore sia insensibile o crudele – al contrario, è assai mite e pieno di amore per gli uomini – ma perché l’enormità dei nostri peccati non permette neanche a chi è così buono, ben disposto e misericordioso di perdonarci tanto presto. Per questo egli dice: “In modo che possiate attendere al digiuno ed alla preghiera”. Che cosa c’è di più amaro di questa schiavitù? “Vuoi – ci chiede – progredire verso la virtù, volare verso il cielo, togliere la sporcizia dalla tua anima insistendo senza interruzione nei digiuni e nelle preghiere? “. Ma se la moglie non vuole acconsentire a questo tuo progetto, devi rimanere schiavo della sua sensualità. Per questo all’inizio l’apostolo disse: “E’ bene per l’uomo non toccare la donna”; e per questo i discepoli dissero al Signore: “Se questa è la condizione dell’uomo quando sta con la moglie, non conviene sposarsi”. Pronunciarono tali parole, perché pensarono agl’inconvenienti che necessariamente si verificano nell’uno o nell’altro caso, e perché furono messi in imbarazzo da tali riflessioni.

XXXIII. Quando si parla due volte dello stesso argomento si imita Cristo

Anche Paolo tratta continuamente lo stesso tema per indurre i Corinzi a fare questa riflessione. “Ognuno abbia la propria moglie, il marito dia alla moglie l’affetto dovuto, la moglie non è padrona del proprio corpo, non negatevi l’uno all’altro, tornate a stare insieme”. Questi beati ascoltatori non rimasero colpiti dalle sue prime parole; solo dopo averle sentite una seconda volta, si resero conto dell’obbligo contenuto in quel comandamento. Anche Cristo, quando si sedette sul monte, parlò di questo e tornò a parlarne dopo avere toccato molti altri argomenti; in tal modo, poté condurre i suoi ascoltatori all’amore per la continenza. Le stesse cose ripetute continuamente hanno maggiore efficacia. Il discepolo quindi, imitando anche in questo il maestro, parla continuamente delle stesse cose, e non dà il permesso di sposarsi senza dire altro, ma ne spiega il motivo: “a causa della fornicazione, delle tentazioni sataniche e dell’incontinenza”; così, senza destare sospetti, mentre parla del matrimonio tesse l’elogio della verginità.

XXXIV. La verginità è ammirevole, e degna di molte corone

1. Se Paolo ha paura di separare per molto tempo coloro che vivono nel matrimonio, nel timore che il diavolo trovi il modo d’introdursi, di quante corone non sono degne le donne che non hanno bisogno di questa consolazione neanche all’inizio, e che rimangono invitte fino alla fine? Eppure il diavolo non ricorre ad uguali mezzi contro queste due categorie di persone. A mio avviso, egli non molesta le persone sposate, sapendo bene che hanno a portata di mano un rifugio: se si accorgono di essere oggetto di un attacco più forte, quest’ultime possono subito rifugiarsi nel porto, giacché il beato Paolo non permette loro di spingersi troppo lontano nella navigazione, ma le esorta a tornare indietro se sono stanche, invitandole a stare di nuovo insieme. La vergine è invece costretta a restare sempre in alto mare, e a navigare su di un oceano senza porti; anche se si leva una tempesta più violenta, non può fare ondeggiare la sua nave e concedersi un riposo.

2. I pirati non attaccano i naviganti quando si trovano vicini ad una città, ad una rada o ad un porto: sarebbe un rischio vano. Se invece riescono ad intercettare la nave in alto mare, incoraggiati nella loro audacia dalla mancanza di aiuto, tutto muovono e sconvolgono, e non desistono, finché non fanno affondare i naviganti o non subiscono essi stessi questa sorte. Allo stesso modo il terribile tentatore suscita contro la vergine una grande tempesta, un violento uragano ed enormi, irresistibili ondate, tutto sconvolgendo, in modo da sommergere la nave con la sua violenza ed impetuosità. Ha sentito dire infatti che la vergine non può “tornare a stare insieme” ma è obbligata a lottare e a combattere sempre contro gli spiriti del male, finché non approda nel porto veramente tranquillo.

3. Paolo chiude la vergine fuori delle mura come se fosse un soldato valoroso, e non permette che le si aprano le porte, anche se il nemico si accanisce molto contro di lei, anche se diventa più violento perché l’avversario non può godere di nessuna tregua. Non solo il diavolo, ma anche il pungolo del desiderio molesta maggiormente i non sposati. E questo è chiaro a tutti. Noi non diveniamo facilmente preda del desiderio di quelle cose di cui possiamo godere, giacché la sicurezza consente all’anima di starsene tranquilla. Ce lo testimonia un proverbio, popolare ma pur sempre vero: ciò di cui si dispone – esso dice – non suscita violenti desideri. Se però ci viene vietato l’uso di ciò di cui eravamo padroni da tempo, si produce l’effetto contrario, e ciò che prima disprezzavamo, quando sfugge al nostro potere risveglia un desiderio più violento.

4. Questa è la prima ragione per cui gli sposati godono di una più grande serenità; la seconda è dovuta al fatto che la fiamma, anche se cerca di alzarsi, è subito soffocata dall’unione che sopravviene. La vergine invece, non sapendo come spegnere il fuoco, lo vede allungarsi ed alzarsi, e non riuscendo ad estinguerlo si preoccupa unicamente di combatterlo per non lasciarsi bruciare. C’è forse qualcosa di più paradossale del fatto che essa sopporti dentro di sé tutto il peso del fuoco e non si bruci? O del fatto che covi la fiamma nelle parti più riposte della sua anima e che conservi il pensiero intatto? Nessuno le permette di liberarsi di questi carboni gettandoli fuori, e lei si vede costretta a sopportare nella sua anima ciò che l’autore dei proverbi considera impossibile se riferito ai colpi. Che cosa dice costui? “Potrà qualcuno camminare sui carboni ardenti senza bruciarsi i piedi?”. Ma guarda: la vergine vi cammina, e sopporta il tormento. “Qualcuno metterà il fuoco nel seno, e non si brucerà le vesti”?. La vergine ha un fuoco rabbioso e rimbombante non nelle vesti ma dentro di sé, eppure sopporta la fiamma e la ripara.

5. Dimmi, qualcuno oserà ancora paragonare il matrimonio alla verginità? Oserà ancora guardarlo in faccia? Non lo permette il beato Paolo, che ha posto una grande distanza tra le due cose. “La donna vergine – dice – si preoccupa delle cose del Signore, quella sposata delle cose del mondo”. Ascolta come rimprovera le persone sposate, dopo averle ricongiunte ed avere concesso loro questo favore: “Tornate a stare insieme – dice loro – perché Satana non vi tenti”. Allo scopo di dimostrare che tutto non dipende tanto dalla tentazione quanto dalla nostra debolezza, egli adduce il motivo principale con le parole: “A causa della vostra intemperanza”.

6. Chi non arrossirebbe, sentendo queste parole? chi non cercherebbe di sfuggire alla taccia d’intemperanza? Quest’esortazione non riguarda tutti, ma quelli che cadono troppo in basso. “Se sei così schiavo dei piaceri – dice Paolo -, se sei così molle da disperderti sempre nell’accoppiamento e da desiderarlo, sta’ pure con tua moglie”. Dando questo permesso egli non approva né loda, ma deride e condanna. Se non avesse voluto colpire veramente l’anima delle persone libidinose, non avrebbe usato la parola “intemperanza”, che è così espressiva e così pregna di rimprovero. Perché non ha detto “A causa della vostra debolezza”? Perché con quest’ultima frase avrebbe mostrato piuttosto di perdonare, mentre usando parola “intemperanza” ha voluto far rilevare l’enormità del loro rilassamento. E’ dunque proprio dell’intemperanza il non potersi tenere lontani dalla fornicazione, se non si sta sempre attaccati alla moglie e non si gode dell’unione coniugale.

7. Che cosa potrebbero dire ora coloro che ritengono superflua la verginità? Mentre quest’ultima merita lodi tanto più grandi quanto maggiore è il suo impegno, il matrimonio invece, proprio quando lo si usa a sazietà, viene a perdere ogni merito. “Quello che io dico – afferma Paolo – è una concessione, non un ordine”. Dove c’è la concessione, non c’è posto per la lode. Ma anche quando parla delle vergini, egli dice: “Non ho un ordine del Signore, ma esprimo un parere”. Ha forse voluto respingere la verginità? Niente affatto. Nel caso della vergine esprime un parere, nell’altro caso invece fa una concessione. In nessuno dei due casi dà un ordine, ma non per lo stesso motivo: nel caso del matrimonio, onde evitare che qualcuno che voglia liberarsi dell’intemperanza riceva un divieto perché vincolato dall’obbligo di un comandamento; nel caso delle vergini, per evitare che qualcuno, non riuscendo ad elevarsi fino alla verginità, venga condannato come trasgressore di un precetto. “Non comando di restare vergini – egli dice – perché temo la difficoltà dell’impresa. Non comando di avere continui rapporti con la moglie, perché non voglio legittimare l’intemperanza. Ho detto “state insieme” perché voglio impedirvi di precipitare, non perché voglio ostacolare il desiderio di salire in alto”.

8. Paolo non vuole dunque in primo luogo che si abbiano sempre rapporti con la moglie: è stata l’intemperanza dei pigri a prescrivere questo. Se vuoi sapere qual è il desiderio di Paolo, ascolta: “Voglio – egli dice – che tutti siano come me”, vale a dire continenti. Se vuoi che tutti siano continenti, vuoi che nessuno si sposi. “Non per questo però vieto il matrimonio a chi lo desidera né accuso, ma faccio voti e desidero che tutti siano come me; d’altra parte, permetto il matrimonio a causa della fornicazione. Per questo all’inizio dissi: “è bene per l’uomo non toccare la donna”.

XXXV. Era necessario che Paolo s’indicasse come esempio di continenza

1. Perché mai Paolo parla qui di sé dicendo “voglio che tutti gli uomini siano come me”? Non certo per esaltarsi: egli era colui che, pur essendosi distinto tra gli apostoli nella fatica della predicazione, si riteneva indegno perfino di essere chiamato apostolo. Dopo avere detto infatti “Sono il più piccolo degli apostoli”, nel timore di avere pronunziato una parola che oltrepassava i suoi meriti, si riprese subito aggiungendo: “Non sono degno di essere chiamato apostolo”. Come mai allora qui si aggiunge come esempio alla sua esortazione? Non l’ha fatto senza motivo o a caso, ma perché sapeva bene che i discepoli si lasciano condurre all’imitazione delle cose belle soprattutto quando ricevono l’esempio dai maestri. Come colui che è saggio solo nelle parole e non nelle opere non è di grande aiuto all’ascoltatore, così colui che è in grado di mostrare di avere messo in pratica i consigli che dà riesce a trascinare meglio l’uditorio. Inoltre, Paolo si mostra libero dall’invidia e dall’orgoglio: vuole che i suoi discepoli siamo partecipi di questo privilegio, non cerca di avere nulla in più di loro e desidera che essi l’eguaglino in tutto.

2. Devo ricordare anche il terzo motivo. Di che cosa si tratta? La cosa sembrava difficile, e non alla portata dei più. Nell’intento di mostrare che era invece molto facile, egli cita come esempio colui che l’aveva realizzata, perché i discepoli non credessero che costasse molta fatica e perché, guardando la loro guida, potessero anch’essi incamminarsi fiduciosi per la stessa strada. Così si comporta anche in un’altra occasione. Parlando ai Galati, e cercando di dissipare la paura che avevano della legge, e che li faceva ricadere nelle vecchie usanze e li costringeva ad osservare molti di quei precetti, che cosa dice? “Diventate come me, perché anch’io sono come voi”. Ciò che vuol dire è questo: “Non potete affermare che io, convertitomi ora dal paganesimo senza conoscere la paura prodotta dalla trasgressione della legge, vi voglio insegnare impunemente tutte queste cose. Anch’io sono stato una volta asservito a questa schiavitù come voi: mi sottomettevo alle prescrizioni della legge, ne osservavo i precetti, ma una volta illuminato dalla grazia ho trasferito tutto me stesso a quest’ultima, abbandonando la prima. Questo non rappresenta più una trasgressione “se ci sottomettiamo ad un altro uomo”: di conseguenza, nessuno di voi può dire che io agisco in un modo ed esorto in un altro, né che, badando alla mia sicurezza, vi caccio in un pericolo. Se la cosa fosse stata pericolosa, non avrei tradito me stesso trascurando la mia salvezza”. Come in quest’altro caso dissipò la loro paura citandosi come esempio, così anche nel nostro, mettendosi in mezzo, intende eliminare la loro angoscia.

XXXVI. L’apostolo chiama “grazia” la verginità perché vuole essere umile

1. “Ma ciascuno — dice Paolo — ha la propria grazia, chi in un modo, chi in un altro. Osserva come i tratti caratteristici dell’umiltà dell’apostolo non svaniscano mai, ma risplendano sempre in modo distinto. Egli chiama grazia di Dio la propria azione virtuosa, ed attribuisce al Signore tutto il frutto delle sue grandi fatiche. Ma perché ci si dovrebbe meravigliare se si comporta così a proposito della continenza, quando assume lo stesso atteggiamento nei riguardi della predicazione, per la quale sopportò infinite fatiche, tormenti continui, sofferenze indicibili, ed andò incontro a quotidiani pericoli di morte? Che cosa dice in proposito? “Mi sono affaticato più di tutti loro: non io però, ma la grazia di Dio che è in me”. Non attribuisce una parte del merito a sé ed un’altra a Dio, ma fa risalire tutto a Dio. E’ proprio di un buon servo credere che nulla gli appartenga e che tutto sia del padrone [e ritenere che nulla sia suo ma tutto del Signore].

2. Paolo si comporta così anche altrove. Dopo avere detto “Riceviamo dei favori differenti, secondo la grazia che ci è stata concessa “, un poco più avanti annovera tra questi favori le cariche, le opere di misericordia e le elargizioni. A tutti è chiaro che queste cose sono azioni virtuose, e non favori. Ho voluto ricordarlo, perché quando gli senti dire “Ognuno ha la propria grazia” tu non ti scoraggi e non dica a te stesso: “La cosa non richiede il mio impegno, se Paolo l’ha chiamata grazia”. Egli parla così per umiltà, non perché voglia annoverare la temperanza tra le grazie. Non era infatti sua intenzione contraddire in tal modo se stesso e Cristo; Cristo aveva detto: “Ci sono degli eunuchi che si sono resi eunuchi per il regno dei cieli”, ed aveva aggiunto: “Chi è in grado d’intendere, intenda”; ed egli stesso aveva condannato le donne che dopo avere scelto la vedovanza non avevano voluto tener fede a questo proposito. Se si tratta di una grazia, perché le minacci dicendo “Vengono giudicate, perché hanno rinnegato la fede primitiva”? Cristo non ha mai punito coloro che non avevano la grazia, ma ha condannato sempre coloro che non davano prova di una vita retta: le cose che soprattutto cercava, erano la perfetta condotta di vita e le azioni irreprensibili. La distribuzione delle grazie non dipende dalla scelta di chi le riceve, ma dal giudizio di chi le offre. Per questo Cristo non loda mai gli autori dei miracoli, e toglie ai discepoli che se ne vantano questa soddisfazione, dicendo: “Non rallegratevi perché i demoni vi ubbidiscono”. Coloro che vengono sempre considerati beati sono gli umili, i miti, i puri di cuore, i pacifici, coloro che hanno tutte queste qualità ed altre simili.

3. Lo stesso Paolo, enumerando i propri atti virtuosi, ricorda tra essi anche la continenza. Dopo aver detto “Nella grande perseveranza, nei tormenti, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle oppressioni, nei colpi, nelle prigionie, nelle sofferenze, nei tumulti, nelle veglie, nei digiuni. aggiunge: “nella purezza”: non l’avrebbe fatto, se si fosse trattato di una grazia. Egli deride coloro che non la possiedono, chiamandoli intemperanti Perché colui che non dà in sposa la propria figlia vergine si comporta meglio? Perché la vedova che resta tale è più felice? Come ho detto prima, le beatitudini ed i castighi dipendono non dai miracoli, ma dalle opere. Perché mai Paolo dovrebbe insistere ancora sulle stesse raccomandazioni se la cosa non ci riguardasse ed oltre all’intervento di Dio non fosse necessario il nostro impegno? Dopo aver detto “Voglio che tutti gli uomini siano come me”, vale a dire continenti, aggiunge: “Dico ai celibi ed alle vedove che è meglio restare come me”. Di nuovo, e per lo stesso motivo, si cita come esempio: a suo parere, i suoi ascoltatori, avendo un esempio così vicino e diretto, avrebbero affrontato con più impegno le fatiche della verginità. Non meravigliarti se, dopo aver detto prima “Voglio che tutti siano come me”, e dopo avere aggiunto qui “E’ bene per loro restare come me”, non ne spiega affatto il motivo. Non fa questo per vanagloria, ma perché pensa che sia sufficiente la sua convinzione personale, con la quale realizzò questa virtù.

XXXVII. Nelle seconde nozze accadono molte cose spiacevoli

1. Chi vuole ascoltare anche dei ragionamenti, esamini in primo luogo l’opinione comune, e poi ciò che si verifica in tali frangenti. Anche se i legislatori non puniscono le seconde nozze ma le consentono e le autorizzano, molte persone, sia in privato che in pubblico, ne parlano spesso male, dileggiandole, biasimandole e rifiutandole. Tutti respingono coloro che le contraggono come se fossero, per così dire, degli spergiuri; nessuno se la sente di farseli amici, o di stringere accordi con loro, o di concedere loro la benché minima fiducia. Le persone infatti, quando vedono che costoro scacciano dalla loro mente con tanta disinvoltura il ricordo di una familiarità, di un amore, di un’intimità, di una vita comune, sono vittime di una sorta di paralisi; non possono avvicinarli con animo del tutto sincero, perché li considerano volubili ed instabili, e li allontanano non solo per questi motivi, ma anche per le cose spiacevoli che si verificano.

2. Dimmi: che cosa c’è di più spiacevole del fatto che ai molti gemiti, ai lamenti, alle lacrime, ai capelli in disordine, alle vesti nere, subentrino improvvisamente gli applausi, le camere nuziali, e delle agitazioni opposte alle precedenti, come se degli attori recitassero sulla scena e diventassero ora l’uno, ora l’altro personaggio? Sulla scena, si può vedere lo stesso attore nelle vesti ora di un re, ora del più povero degli uomini; nel nostro caso, colui che prima si rotolava vicino alla tomba, diventa improvvisamente sposo; colui che si strappava i capelli, porta di nuovo sullo stesso capo la corona; colui che era abbattuto e cupo, che spesso pronunziava piangendo molti elogi della sposa defunta di fronte a coloro che cercavano di consolarlo, che diceva che la vita gli era divenuta impossibile, che s’irritava contro chi cercava di distoglierlo dai suoi lamenti, spesso, proprio nel mezzo del suo lutto, si abbellisce e si adorna di nuovo, sorride alle stesse persone con gli stessi occhi con cui prima piangeva, si mostra affabile ed accoglie tutti con la stessa bocca con cui prima pronunciava degli scongiuri contro tutto.

3. Ma la cosa più pietosa è la guerra condotta contro i figli, provocata dalla leonessa che abita assieme alle figlie: tale veste assume sempre la matrigna. Da lei si originano i disordini ed i litigi quotidiani, e l’animosità strana ed insolita contro la defunta che non le dà alcun fastidio. I vivi colpiscono con l’invidia e ne sono colpiti, ma con i morti anche i nemici si rappacificano. Ciò non avviene però in questo caso: la polvere e la cenere sono oggetto d’invidia, la sepolta è bersaglio di un odio indicibile, colei che è divenuta terra riceve biasimi, motteggi ed accuse; un’inimicizia implacabile si accende contro colei che non ha fatto alcun male. Che cosa c’è di peggiore o di piú crudele di questa follia? La nuova sposa, che non ha ricevuto alcun torto dalla defunta — ma perché usare quest’espressione? La nuova sposa, che trae profitto dalle sue fatiche e che gode dei suoi beni, non cessa di combattere contro la sua ombra; ogni giorno colpisce con infiniti motteggi colei che spesso non ha neppure visto, si vendica di colei che non è piú, facendo del male ai suoi figli, e spesso, quando non riesce nel suo intento, aizza il marito contro di loro. Eppure, gli uomini trovano tutto questo facile e sopportabile, pur di non essere costretti a sottomettersi alla tirannia della concupiscenza.

4. La vergine, al contrario, non prova le vertigini di fronte a questo combattimento, e non fugge lo scontro che sembra cosí insostenibile ai piú, ma, grazie alla sua nobiltà d’animo, rimane ferma ed accetta la battaglia voluta dalla natura. Come la si può ammirare secondo i suoi meriti? Mentre infatti gli altri per non bruciare hanno bisogno di nuove nozze, lei, che non si è sposata neanche una volta, resta sempre santa ed incolume. Per questo motivo, ed ancora di piú perché pensava ai premi riservati nei cieli alla vedovanza, colui che fa parlare Cristo in sé disse: “E’ bene per loro se rimangono come me”. Non hai avuto la forza di salire fino alla cima piú alta? Raggiungi almeno quella che si trova subito dopo di essa: la vergine ti sia superiore solo in questo, nel non essersi lasciata vincere dal desiderio neanche una volta; nel tuo caso, invece, la concupiscenza, dopo averti vinto in un primo tempo, non è riuscita a tenerti sempre in suo potere. Tu hai vinto dopo una sconfitta, lei gode di una vittoria che non conosce sconfitte: solo all’inizio ti supera, mentre alla fine ti è pari.

XXXVIII. Perchè Paolo consola tanto le persone sposate, mentre non concede tregua alle fatiche della vergine

1. Come mai dunque Paolo consola le persone sposate fino al punto da non farle separare se una delle due non vuole, e da non prolungare il distacco avvenuto di comune accordo? Inoltre, se vogliono, concede un secondo matrimonio, perché non brucino. Verso le persone vergini, invece, non si mostra affatto cosí indulgente: mentre, dopo un breve intervallo, lascia di nuovo libere le persone sposate, alla vergine che non ha un attimo di respiro e che combatte continuamente, ingiunge di stare sempre al suo posto e di farsi bersagliare dai desideri, senza concederle neanche una piccola pausa. Perché mai non ha detto anche a proposito di lei: “Se non è continente, si sposi”? Perché neanche all’atleta si potrebbe dire, dopo che ha gettato via la veste, che si è unto, che è entrato nell’arena e che si è cosparso di polvere: “Ritirati e fuggi via dall’avversario”; al contrario, non può non verificarsi una di queste due eventualità: l’atleta se ne andrà o con la corona della vittoria, o pieno di vergogna, dopo essere caduto. Nel ginnasio e nella palestra, quando si esercita con altri che conosce bene, quando affronta gli amici come se fossero avversari, l’atleta è padrone d’impegnarsi o no; quando è invece iscritto alla gara, quando la folla si raduna nel teatro, quando l’arbitro è presente, quando gli spettatori sono seduti e l’avversario gli si trova di fronte, la legge della gara non gli lascia scelta.

2. Anche per la vergine, prima che decida se sposarsi o no, il matrimonio non presenta alcun pericolo. Ma dopo che ha preso la decisione e si è iscritta, allora fa il suo ingresso nello stadio. Quando il teatro è affollato, quando gli angeli la guardano dall’alto, quando Cristo fa da arbitro, quando il diavolo s’infuria, digrigna i denti, è stretto nella lotta ed è afferrato alla vita, chi oserebbe farsi avanti e dirle: “Fuggi via dal nemico, rinunzia alle tue fatiche, lascia la presa, non abbattere l’avversario, non fargli lo sgambetto, e lasciagli la vittoria”?

3. Ma perché parlare delle vergim? Neanche alle vedove qualcuno oserebbe fare tale discorso, ma pronuncerebbe al loro indirizzo queste terribili parole: “Se mettono da parte Cristo e vogliono sposarsi, saranno giudicate, perché sono venute meno al primo impegno”. Eppure, Paolo stesso dice: “Dico ai non sposati ed alle vedove che è megho se rimangono come me; se però non riescono ad essere continenti, si sposino”. E ancora: “Se suo marito muore, è libera di sposare chi vuole, purché lo faccia nel Signore”.

XXXIX. A quali vedove ed a quali vergini Paolo permette di sposarsi

1. Come mai danque Paolo condanna colei che lascia libera, e giudica illegittimo il matrimonio che dice “essere nel Signore”? Non temere: non si tratta dello stesso matrimonio, ma di due matrimoni diversi. Come, quando dice “Se la vergine si sposa, non pecca”, intende parlare non di colei che ha rinunziato al matrimonio (è evidente a tutti che costei commette un peccato, ed un peccato intollerabile), ma di colei che, non ancora sposata, non ha preso ancora nessuma decisione in merito, ma resta indecisa tra le due soluzioni, cosí, per quanto riguarda la vedova, nel secondo caso intende parlare di quella che, non avendo piú il marito, non è ancora legata alla decisione presa liberamente e che è ancora libera di scegliere l’una o l’altra soluzione, mentre nel primo caso si riferisce a quella che non è piú padrona di stare con un altro sposo, e che si è impegnata nelle lotte della continenza.

2. La vedova, se non ha ancora accettato di rimanere tale, può infatti, pur essendo vedova, non essere ammessa alla digmtà di questo stato. Per questo Paolo dice: “Venga ammessa alla dignità di vedova colei che ha non meno di sessant’anni e che è stata la moglie di un unico marito. Alla semplice vedova consente, se vuole, di risposarsi, mentre condanna aspramente la vedova che, dopo avere promesso a Dio di rimanere tale, poi si risposa calpestando il patto stretto con Dio. Non parla a quest’ultima, ma alla prima quando dice: “Se non sono continenti, si sposino; è meglio sposarsi che bruciare”. Non vedi che il matrimonio non è mai ammirato di per sé, ma solo in rapporto alla fornicazione, alle tentazioni ed all’incontinenza? In precedenza aveva impiegato questi termini; ora invece, dopo averli fatti segno di violenti rimproveri, usa per la stessa cosa parole piú benevole, chiamandola incendio e fuoco.

3. Neanche qui però è riuscito a passare oltre senza rimproverare l’ascoltatore. Non ha detto infatti “Se subiscono violenze da parte dei desideri, se vengono sconvolti, se non possono”. Non ha usato nessuna di queste espressioni, che si addicono a chi soffre ed è degno di perdono. Che cosa ha detto invece? “Se non sono continenti”, frase che si riferisce a coloro che per pigrizia non vogliono impegnarsi: in tal modo, egli fa vedere che costoro, pur potendo riuscire, non riescono perché non vogliono faticare. Ciò nonostante, non li punisce né li condanna alla pena, ma si imita a non lodarli ed a mostrarsi severo solo con rimproveri verbali; non ricorda la procreazione, il motivo piú bello e piú nobile del matrimonio, ma solo il fuoco, l’imtemperanza, la fornicazione e le tentazioni sataniche, consentendo le nozze solo per evitare quei mali.

4. “E che importanza ha questo? — mi si potrebbe obiettare —. Finché il matrimonio tiene lontana la punizione, sopporteremo di buon grado ogni condanna ed ogni offesa: basta che ci sia consentito di godere dei piaceri e di soddisfare sempre i nostri desideri”. E che cosa succederebbe, o caro, se, non potendo piú godere dei piaceri, ci attirassimo solo il biasimo? “Come? — mi si direbbe — non si può godere, dopo che Paolo ha detto “Se non sono continenti, si sposino”?”.

5. Ascolta però anche le parole che vengono dopo di queste. Hai sentito che è meglio sposarsi che bruciare; hai accolto di buon grado il piacere, hai lodato la concessione, hai ammirato la condiscendenza dell’apostolo; ma non fermarti a questo: accetta anche quello che viene dopo, giacché l’una e l’altra prescrizione provengono dalla stessa persona. Che cosa dice dunque dopo? “Agli sposati prescrivo — non io, ma il Signore — che la moglie non si separi dal marito; se si separa, la moglie non si risposi, o si riconcili con il marito; ed il marito non ripudi la propria moglie.

XL. Aspra ed inevitabile è la schiavitú del matrimonio

1. Che cosa succede quando il marito è affabile, mentre la moglie è cattiva, incline al biasimo, ciarliera, prodiga — malattia quest’ultima che è comume a tutte le donne — e piena di molti vizi? Come farà il poveretto a sopportare questo tormento quotidiano, quest’orgoglio e quest’impudenza? E che cosa succede, se al contrario la moglie è modesta e mite, mentre il marito è insolente, portato al disprezzo, irascibile e gonfio di orgoglio per le sue ricchezze e la sua potenza, e tratta la consorte — che pure è libera — come una schiava, senza amarla piú delle ancelle? Come farà la sposa a sopportare tale costrizione e violenza? E che cosa succede, se il marito non fa che allontanarla, e continua a comportarsi cosí per tutta la vita? “Sopporta — dice l’apostolo — tutta questa schiavitú: sarai libera solo quando morirà; finché vivi, delle due l’una: o dovrai impegnarti molto per educarlo e renderlo migliore, oppure, se questo è impossibile, dovrai sopportare nobilmente questa guerra implacabile e questa battaglia senza tregua”.

2. Prima aveva detto: “Non separatevi se non di comune accordo”. Qui, ingiunge alla sposa che si è separata di restare d’ora in poi continente anche contro la sua volontà. Dice infatti: “Non si risposi, oppure si riconcili con il marito”. Vedi com’è presa tra due fuochi? O deve sopportare la violenza del desiderio, o, se non vuole farlo, adulare chi l’offende e consegnarsi a lui perché faccia di lei ciò che vuole: egli può infierire con le percosse, sommergerla di rimproveri, consegnarla al disprezzo dei servi o fare altre simili cose.

3. Molti mezzi sanno escogitare i mariti, quando vogliono punire le loro mogli. Se la sposa non sopporta tutto questo, deve praticare una continenza sterile: dico sterile perché le manca il presupposto adatto, in quanto è prodotta non dal desiderio di santità, ma dall’ira verso il marito “Non si risposi — dice l’apostolo — o si riconcili con il marito”. “Che cosa accade, se non vuole piú riconciliarsi?” ci si potrebbe chiedere. Hai un’altra soluzione ed un’altra via di uscita. Quale? Attendi la sua morte.

4. Come infatti la vergine non può mai sposarsi perché il suo sposo vive sempre ed è immortale, cosí alla donna sposata è consentito di risposarsi solo quando muore il marito. Se infatti, mentre vive, potesse passare da lui ad un altro uomo, e poi da quest’ultimo ad un altro ancora, a che cosa servirebbe piú il matrimonio? In tal caso, gli uomini si prenderebbero gli uni le mogli degli altri senza piú distinzioni, e tutti si unirebbero con tutte le donne. E come non si deteriorerebbero i nostri rapporti con coloro che coabitano con noi, se ora l’uno, ora l’altro, ora altri ancora, convivessero con la stessa donna? Giustamente il Signore ha chiamato tale condotta adulterio.

XLI. Perché Dio consentì ai Giudei il ripudio

1. Come ha potuto dunque Dio permettere questo ai Giudei? E’ chiaro che l’ha fatto a causa della durezza dei loro cuori, perché non riempissero le loro case del sangue dei congiunti. Dimmi, cos’è meglio, scacciare la sposa odiata o trucidarla in casa? Avrebbero fatto questo, se non avessero avuto il permesso di scacciarla. Per questo è detto: “Se la odi, ripudiala”. Quando invece parla con le persone piú miti e con quelle alle quali non permette neppure di adirarsi, che cosa dice l’apostolo? “Se si separa, non si risposi”. Vedi la costrizione, la schiavitú inevitabile, il legame che stringe entrambi? Un vero e proprio legame è infatti il matrimonio, non solo a causa del gran numero di preoccupazioni e di angustie quotidiame, ma anche perché costringe i coniugi a sottostare l’uno all’altro, in un modo piú severo di quello usato con i servi.

2. E’ detto: “Il marito abbia autorità sulla moglie”. Ma quale guadagno ricava da tale signoria? Dio infatti, rendendolo a sua volta schiavo di colei che gli è sottoposta, ha escogitato un nuovo e strano scambio di schiavitú. Come i servi che hanno cercato di fuggire, quando vengono legati dai padroni sia uno per uno che l’uno all’altro e fissati da entrambe le parti ai ceppi con una breve catena, non possono camminare liberamente perché l’uno è costretto a seguire l’altro; cosí anche le anime delle persone sposate, pur avendo dei pensieri propri, subiscono la costrizione dovuta al legame che le stringe l’una all’altra: si tratta di una costrizione piú pesante di qualsiasi catena, perché le soffoca, le priva entrambe di ogni libertà, non dà mai il comando a nessuna delle due, ed insegna ad entrambe la facoltà di decidere. Dove sono coloro che sono pronti a sopportare tutte le condanne pur di essere consolati dal piacere?

3. In effetti, quando le liti e gli odi reciproci portano via molto tempo, una non piccola parte del piacere viene spesso annullata. La schiavitú dovuta al fatto che l’uno è costretto a sopportare suo malgrado la cattiveria dell’altro, basta a gettare un’ombra su ogni godimento. Per questo quel beato apostolo cercò in un primo tempo di frenare con le esortazioni l’impulso del desiderio, ricordando la fornicazione, l’intemperanza ed il fuoco. Accortosi però che queste parole di rimprovero non avevano molta presa sui piú, per distoglierli ricorse ad un argomento molto piú forte, quello che aveva fatto dire ai discepoli “Non conviene sposarsi”: si tratta del fatto che nessuna delle persone sposate è piú padrona di sé. Egli non l’introduce sotto forma di esortazione, ma dà ad esso la costrizione del precetto e del comandamento. Mentre dipende da noi lo sposarsi o no, non dipende piú da noi sopportare la schiavitú non volontariamente, ma nostro malgrado.

4. E perché mai? Perché quando all’inizio la scegliemmo, non l’ignoravamo, ma conoscevamo bene le sue prescrizioni e le sue leggi, e ci sottomettemmo spontaneamente al suo giogo. Dopo avere parlato di coloro che coabitano con mogli non credenti, avere passato in rassegna minutamente tutte le leggi del matrimonio, avere fatto un discorso su servi ed avere consolato questi ultimi in misura sufficiente, esortandoli a non degradare con lo stato di schiavitú la loro nobiltà spirituale, Paolo passa quindi a parlare della verginità: già da tempo teneva dentro di sé queste parole e desiderava spargerle come semi, ma solo ora le fa venire alla luce; neanche durante il discorso sul matrimonio era però riuscito a tacere del tutto.

5. Nella sua esortazione al matrimonio ne aveva infatti parlato, sia pure in modo breve e frammentario: esercitate le orecchie e disposte bene le menti degli ascoltatori con quest’ottimo metodo, preparò per le sue parole il migliore ingresso. Dopo avere rivolto un’esortazione ai servi — “siete stati comprati ad un certo prezzo, non diventate schiavi degli uomini” -, dopo avere ricordato i benefici del Signore; dopo avere cosí innalzato ed elevato al cielo i pensieri di tutti, pronunziò il discorso sulla verginità dicendo: “Per quanto riguarda le vergini, non ho un ordine del Signore, ma esprimo un parere, giacché se sono credente, lo devo alla sua misericordia”. Eppure, pur non avendo degli ordini, quando parlavi dei credenti sposati alle non credenti legiferavi con grande autorità e prescrivevi: “Agli altri parlo io, non il Signore: un fratello che ha una moglie non credente, se costei desidera vivere con lui, non la scacci”.

6. Perché allora non ti esprimi allo stesso modo a proposito delle vergini? Perché su quest’argomento Cristo ha chiaramente manifestato il suo volere, vietando che la cosa assumesse la costrizione propria di un ordine. La frase “chi è in grado d’intendere, intenda” lascia l’ascoltatore libero di scegliere. Parlando della continenza, l’apostolo dice: “Voglio che tutti gli uomini siano come me”, vale a dire continenti. E ancora: “Dico ai non sposati ed alle vedove: è una buona cosa se rimangono come me”. Parlando invece della verginità, non si cita mai come esempio, ma si esprime con molta riservatezza e circospezione, perché egli stesso non era riuscito a realizzare questa virtú: “Non ho un’ordine, dice.

7. Egli dà il suo consiglio solo dopo avere lasciata libera la scelta ed essersi conquistato il favore dell’ascoltatore. Poiché infatti la parola “verginità”, non appena profferita, fa subito pensare ad un gran numero di fatiche, non dà subito inizio alla sua esortazione, ma predispone prima il discepolo, lasciandolo libero di vedere o no nelle sue parole un ordine e rendendo la sua anima docile e malleabile: solo dopo aver fatto questo si spiega meglio. Hai sentito parlare di verginità, parola che comporta fatiche e sudori. Non temere: non hai a che fare con un ordine, né con la costrizione di un comandamento; la verginità concede in cambio i propri beni a coloro che l’abbracciano spontaneamente, di loro libera scelta, mettendo sul loro capo una corona splendida e fiorente, mentre non punisce né forza contro il suo volere chi la rifiuta e non la vuole avvicinare.

8. L’apostolo ha saputo eliminare dal suo discorso ogni aspetto sgradevole e renderlo piacevole non solo cosí, ma anche dicendo che non era lui, ma Cristo, a concedere questo favore. Non ha detto infatti: per quanto riguarda le vergini non comando, ma “non ho un comando”. E’ come se avesse detto: se avessi rivolto quest’esortazione mosso dai miei pensieri umani, non avrei meritato alcuna fiducia; ma poiché essa corrisponde ai voleri di Dio, il pegno della fiducia è sicuro. Sono privo della facolta di dare un simile ordine, ma se volete ascoltare uno che come voi è schiavo di Cristo, ricordatevi che “esprimo un parere, come un uomo che deve alla misericordia del Signore la sua fede in lui”.

9. E’ giusto ammirare, in questo contesto, la grande abilità ed intelligenza del beato apostolo: preso tra due esigenze contrarie, raccomandare la sua persona in modo che il suo consiglio trovasse una buona accoglienza e non vantarsi troppo giacché non aveva saputo raggiungere questa virtú, riuscí subito in entrambi gl’intenti. Dicendo “Come un uomo che deve alla misericordia del Signore”, raccomanda in un certo senso se stesso; d’altra parte, non mettendosi troppo in luce nel momento in cui agisce cosí, si umilia e si abbassa.

XLII. Dell’umiltà di Paolo

1. Egli non ha detto infatti: esprimo un parere perché mi è stato affidato il messaggio evangelico, perché sono stato ritenuto degno di essere il predicatore dei popoli, perché sono stato incaricato di dirigervi, perché sono il vostro maestro e la vostra guida. Che cosa dice invece? “Perché devo alla misericordia del Signore la mia fede in lui”: in tal modo, adduce un motivo meno importante. L’essere semplicemente un fedele è infatti meno importante dell’essere il maestro dei fedeli. Ma anche ad un altro modo di umiliarsi egli ha pensato. A quale? Non ha detto: perché sono divenuto un fedele di Cristo, ma perché “devo alla misericordia del Signore la mia fede”. Non ritenere doni di Dio solo l’apostolato, la predicazione e l’insegnamento: anche la mia fede in lui viene dalla sua misericordia. Sono stato ritenuto degno della fede non perché ne fossi degno, ma solo perché sono stato commiserato; e la misericordia è frutto della grazia, non del merito.

2. Di conseguenza, se Dio non fosse stato tanto misericordioso, non avrei potuto essere chiamato non solo “apostolo”, ma neanche “fedele”. Hai notato la buona disposizione d’animo del servitore, e la contrizione del suo cuore? Non si attribuisce nulla in piú degli altri, e quello che ha in comune con i suoi discepoli deriva, a suo dire, non da lui stesso ma dalla misericordia e dalla grazia di Dio usando queste parole, come se volesse dire: non rifiutatevi di accogliere il mio consiglio, giacché Dio non mi ha rifiutato la sua misericordia. Non rifiutatevi, anche perché si tratta di un parere, non di un ordine: dò un consiglio, non una legge. Nessuna legge ci proibisce di rivelare le cose utili che vengono in mente ad ognuno di noi, specie poi quando ciò avviene in seguito ad una richiesta degli ascoltatori, come nel vostro caso. “Penso — dice — che questa sia una buona cosa. Non vedi che il suo discorso si fa di nuovo umile, e si priva di ogni autorita? Avrebbe anche potuto dire: poiché il Signore non ha comandato la verginità, neanch’io la comando; visto che sono il vostro apostolo, mi limito a consigliarla e vi esorto ad imitarla.

3. Piú avanti, infatti, rivolgendosi a loro, dice: “Se per gli altri non sono l’apostolo, lo sono però per voi”. Qui, invece, non dice nulla di tutto questo, ma usa le sue parole con molta circospezione: invece di “consiglio” dice “esprimo un parere”, invece di “come maestro” dice “perché devo alla misericordia del Signore la mia fede im lui”. E come se tutto ciò non bastasse a rendere dimesso il suo discorso, nel momento in cui comincia a dare i consigli ne diminuisce ancor piú l’autorità, in quanto non si limita ad enunciarli, ma ne spiega il motivo. “Penso che ciò sia una buona cosa — dice — a causa delle necessità presenti”. Eppure, parlando della continenza, non aveva detto “penso”, né aveva fornito spiegazioni, ma aveva detto soltanto “per loro è bene rimanere come me”; qui, invece, dice: “Penso che sia una buona cosa, a causa delle necessità presenti”. Dicendo questo, non nutre dubbi sull’argomento — non sia mai! — ma intende rimettere tutto al giudizio degli ascoltatori. Il consigliere non pronunzia il verdetto con le sue parole, ma lascia dipendere tutto dalla decisione dell’uditorio.


 
 
 

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